Omelia (29-08-2021) |
diac. Vito Calella |
Siamo peccatori già perdonati Insistenza sulla coerenza nella pratica di vita religiosa Dal libro del Deuteronomio abbiamo accolto oggi l'invito a mettere in pratica nella nostra vita quotidiana i dieci comandamenti e tutti gli altri precetti dei codici legislativi presenti nei primi cinque libri della bibbia. L'orante del salmo 14 ci ha ricordato giustamente la testimonianza luminosa ed edificante di chi frequenta il culto al tempio di Gerusalemme e fuori dell'edificio sacro, nella tessitura delle sue relazioni con gli altri, pratica la giustizia, dice la verità, non parla male degli altri, non fa pettegolezzi, non è usuraio e fraudolento a danno dei poveri, a causa del suo attaccamento al denaro. L'apostolo Giacomo esorta tutti i cristiani a mettere in pratica la parola di Dio perché non basta essere solo ascoltatori, non basta solo pregare e fare belle liturgie in chiesa, non basta avere luoghi di culto attraenti e ben curati artisticamente, e poi dimenticarsi di condividere concretamente la vita con i poveri, non solo facendo la carità con aiuti materiali, ma soprattutto lasciandosi evangelizzare da loro. A proposito della purezza della pratica religiosa, ricorda che «religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo» (Gc 1,27). In un altro versetto del secondo capitolo di questa lettera provocatoria per quei cristiani troppo attaccati al denaro e alle apparenze esteriori, poco attenti ai poveri, l'apostolo ricorda l'annuncio di Cristo fatto nelle beatitudini, quando affermò che «il regno di Dio è dei poveri» (Mt 5,3). Pone a tutti noi questa domanda: «Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?» (Gg 2,5). Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare La tanta insistenza sulla coerenza tra fede e vita, tra culto liturgico e pratica concreta di relazioni di rispetto e di giustizia, tra amore a Dio e amore al prossimo, è un segnale di allarme. Come dice il proverbio popolare: «Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare». Non si può sfuggire da questa infelice costatazione: l'incoerenza è parte integrante del nostro vivere quotidiano. Nella lettera ai Galati e in quella ai Romani l'apostolo Paolo si rende consapevole che più conosciamo le leggi e più aumentano i precetti da imparare a memoria, più siamo indotti a trasgredire, a non adempiere ciò che è prescritto, cioè emerge fortemente da dentro di noi la tendenza al peccato (cf. Gal 3,22 e l'approfondimento di Rm 3,1-20 e Rm 7,7-13). Scrivendo ai Romani l'apostolo Paolo ci offre il frutto drammatico del suo discernimento sul difficile sforzo di praticare i numerosissimi comandamenti della Legge ebraica: «Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (Rm 7,15-24). Nella lettera ai Galati san Paolo espone l'elenco delle opere della carne che possono uscire dalla radice del male che sta nel cuore di ogni essere umano: «fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio» (Gal 5,19-21). La stessa avvertenza ce la ha appena fatta il Cristo risorto dal Vangelo secondo Marco: «Ciò che esce dall'uomo è quello che rende impuro l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo» (Mc 7,20-23) Siamo peccatori già perdonati E allora? Non c'è niente da fare? La parola di Dio di oggi ci vuole comunicare che «i puri di cuore che vedranno Dio» (Mt 5,8) non sono i puritani, cioè gli ossessionati e scrupolosi osservanti di tutte le leggi morali della Sacra Scrittura e della Chiesa, che devono continuamente confessare la lista dei loro peccati al confessore, sperando di non essere castigati dall'ira divina. I veri «puri di cuore» sono quei credenti che riescono a sentire la vicinanza di Dio quando lo invocano con la sincerità del loro cuore, avendo riconosciuto la loro fragilità e la situazione esistenziale del loro essere peccatori. Abbiamo ascoltato dal libro del Deuteronomio: «Il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo» (Dt 4,7). La vicinanza del Padre si è manifestata concretamente nei nostri confronti grazie alla morte e risurrezione del Figlio suo, Gesù Cristo, agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Grazie alla morte e risurrezione di Gesù noi siamo peccatori già perdonati, siamo cioè già stati riscattati e recuperati dal fondo del pozzo delle nostre azioni incoerenti con il bene che vogliamo fare, siamo già stati rivestiti della dignità di figli amati del Padre e ci è stato fatto il dono dello Spirito Santo, cioè dell'amore gratuito divino che ha il potere di farci vivere la conversione da una vita secondo la carne ad una vita secondo lo Spirito. Solo con le nostre forze umane non riusciamo ad essere giusti, ma l'aiuto dello Spirito Santo in noi permette che «non siamo più noi a vivere, ma che Cristo viva in noi» (Gal 2,20). Solo così scopriamo meravigliati che la nostra la nostra corporeità vivente può diventare segno luminoso del frutto dello Spirito Santo, capace di relazioni umane basate su «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). «Accogliamo dunque con docilità questa Parola che è stata piantata in noi e può portarci alla salvezza» (Gc 1,21b): siamo peccatori già perdonati grazie alla morte e risurrezione di Gesù e al dono meraviglioso dello Spirito Santo effuso nei nostri cuori. |