Omelia (29-08-2021) |
don Alberto Brignoli |
Una religione pura e senza macchia? Sì, è possibile... Nelle Scritture, il numero dodici ha sempre assunto una particolare simbologia. È il numero della "elezione", ossia della scelta - fatta da Dio - di individuare tra tutti i popoli della terra un popolo "eletto", il popolo d'Israele appunto, e di costituirlo intorno a dodici nuclei familiari o tribù che si rifanno ai dodici figli di Giacobbe-Israele. Un popolo eletto e talmente amato da Dio al punto da avere una legge non scritta da legislatori umani (come avveniva per gli altri popoli) ma direttamente da Dio. E questa legge - a detta perlomeno di Mosè, come ci riporta la prima lettura di oggi tratta dal Deuteronomio - era invidiata da tutti i popoli della terra, i quali dicevano di Israele: "Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente". Gesù stesso, da buon israelita, continua nel solco della Rivelazione a mantenere questo numero per costituire il nuovo popolo eletto, il nuovo Israele, la Chiesa, sul fondamento dei Dodici apostoli. E come Mosè consegnò al popolo eletto la Legge scritta per loro da Dio stesso, così Gesù (in nome di Dio suo Padre, quindi in maniera ancora più autorevole) consegna al nuovo popolo una Legge, basata non sui 613 precetti presenti nell'Antico Testamento (che i farisei si vantavano di osservare tutti, e alla lettera), ma su un unico comandamento, che constava fondamentalmente di due precetti: amare Dio e amare il prossimo, o meglio ancora, amare Dio amando il prossimo. Perché se alla base di tutta la Legge che Dio ha dato alle Dodici tribù di Israele prima, e poi alle Dodici colonne del nuovo tempio di Dio che è la comunità dei credenti in Cristo, non c'è l'amore verso il prossimo come segno dell'amore di Dio, si corre il rischio di diventare membri di un ulteriore popolo, questa volta non più costituito da Dodici tribù o basato su Dodici apostoli scelti ed eletti da Dio, ma su dodici vizi scelti dall'uomo stesso quando decide di fare a meno di Dio, rompendo qualsiasi relazione d'amore verso il prossimo. I numeri nelle Scritture non sono mai a caso: e Marco (che oggi, dopo un mese, torna ad accompagnare il nostro cammino domenicale) termina anch'egli il brano di vangelo di oggi elencando - non certo "a caso" - un numero di vizi (o "propositi di male", come li chiama) che rendono "impuro l'uomo". Ne elenca dodici, perché è sempre concreto e reale il rischio di creare un popolo non più eletto da Dio, ma eletto dall'uomo stesso con i propri comportamenti; un popolo che - come ricordava già il profeta Isaia - "onora Dio con le labbra, ma il suo cuore è lontano da lui". Ma ciò che maggiormente fa riflettere è che questo popolo "lontano da Dio", questo popolo che butta fuori dal suo interno dodici comportamenti che lo allontanano da Dio è, in prevalenza, costituito da persone che si dicono appartenenti al popolo di Dio, che si proclamano fedeli seguaci delle leggi di Dio, che "a parole" ("con le labbra") si dicono fedeli a Dio e alla sua volontà, e magari anche lo sono, dal punto di vista dell'osservanza dei precetti, ma nelle intenzioni (il "cuore" nella Bibbia indica anche la ragione, oltre che i sentimenti) sono lontani dal cuore di Dio. E non solo questo, ma c'è un altro errore di fondo nel loro sentirsi "popolo eletto di Dio": ovvero, quello di confondere la "purezza interiore", la "bontà d'animo", con la "purità rituale", con l'osservanza letterale dei comandamenti di Dio, dimenticando che le peggiori mancanze nei confronti di Dio (cioè quelle che ci rendono "impuri" di fronte a lui) non sono quelle che riguardano i nostri adempimenti rituali, la nostra partecipazione al culto e ai sacramenti, o la nostra ricerca di perfezione nella preghiera e nelle pratiche spirituali, ma quelle che toccano le nostre relazioni interpersonali, cioè il rapporto con il nostro prossimo. Dei dodici cattivi comportamenti elencati, infatti, non ce n'è uno solo che riguardi mancanze verso la pratica religiosa o rituale. Riguardano tutti quanti, invece, le mancanze verso il prossimo: verso le sue proprietà (furti e avidità), verso la sua dignità affettiva e morale (impurità, adulteri, malvagità, inganni, dissolutezze, invidia, calunnia, superbia, stoltezza), verso la sua stessa vita (l'omicidio). "Queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo", conclude il Vangelo; ossia, contaminano le nostre relazioni umane, e di conseguenza il nostro rapporto con Dio, che perde credibilità nonostante, magari, la nostra perfezione spirituale, rituale, cultuale. Che conseguenze può avere questa appartenenza al popolo "dalle labbra aperte verso Dio e dal cuore chiuso verso i fratelli"? Non è difficile immaginarlo, e ce l'abbiamo sotto gli occhi nella vita di ogni giorno, ogni volta che viviamo la nostra religiosità da bravi credenti praticanti e poi manchiamo di attenzione verso il prossimo, nei confronti di ciò che gli appartiene, della sua dignità e della sua persona in generale. E questo vale a ogni livello e per ogni fede, al tempo di Gesù come oggi. Se allora c'erano i farisei stretti osservanti della Legge che compivano con tutti i 613 comandamenti delle Scritture e poi sottomettevano gli altri alle logiche del loro potere, oggi esistono credenti che in nome di non si sa bene quale Dio e della sua grandezza commettono barbarità e violenze di ogni tipo, uccidendo gente innocente e soggiogandola a una non ben precisata Legge religiosa; se allora c'erano scribi e dottori della Legge che ritenevano il tempio la loro casa e poi divoravano le case delle vedove e degli orfani con esose richieste per il tesoro del tempio, oggi esistono credenti che passano gran parte della loro giornata saltando da un luogo di culto a un altro e da una chiesa all'altra per rivolgere lunghe a anche sincere preghiere a Dio e ai Santi, e poi dimenticano di avere fuori dalla porta di casa (se non in casa stessa) situazioni di indigenza, di povertà, di malattia e di sofferenza che necessitano anche del loro aiuto; se al tempo di Gesù esisteva una porzione di popolo eletto di Dio che in nome della propria elezione si riteneva perfetto e disprezzava gli altri popoli, oggi esistono - anche nella Chiesa - credenti (pastori e fedeli, senza alcuna distinzione) che vivono una vita di fede fatta di pietà e di partecipazione ai sacramenti probabilmente anche molto sincera e molto vera, così come molto vero è l'atteggiamento di maldicenza, di critica, di giudizio che mettono in atto nei confronti di chi, per mille motivi, non riesce ad avere la loro stessa pietà e il loro stesso timor di Dio. Esiste ancora una religiosità pura e senza macchia davanti a Dio? Stando alle parole dell'apostolo Giacomo nella seconda lettura di oggi, sì: "Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo". Tradotto: vogliamo una vita santa? Meno ricerca della perfezione rituale condita di disprezzo verso gli altri, e più vita di fede fatta di carità verso il prossimo, possibilmente silenziosa e nascosta. |