Omelia (29-08-2021)
don Michele Cerutti


Dopo averci condotto per alcune settimane a indagare un discorso complesso, come quello in cui Gesù si identifica nel pane di vita, meditando Giovanni nel capitolo 6, la liturgia ci riconduce al Vangelo di Marco compagno di viaggio di questo anno.

Un importante discorso ci viene offerto che ci conduce a un esame di coscienza piuttosto impegnativo: l'autenticità della fede.

L'occasione è il dialogo che intercorre tra i farisei e gli scribi osservanti scrupolosi della Legge senza però darne a questa un'anima.

Preoccupati delle tante regole e del loro rispetto da perderne di vista il centro.

Non siamo lontani neanche noi da questa visione legalista del rapporto con Dio.

Molte volte pensiamo che con il Signore siamo chiamati a fare e senza pratiche la relazione con Lui si spegne.

I nostri incontri allora diventano una sommatoria di preghiere fatte a macchina e con tante parole convinti che solo così il Signore ci ascolta.

Si pensa di essere bravi cristiani solo se si rispetta il digiuno della Quaresima, si va a messa tutte le domeniche, si partecipa a tutte le processioni.

Compiendo in tal modo anche una scissione tra le pratiche e la vita.

Gesù ci invita invece a una relazione libera e vera con Lui fatto non di pratiche e formule, ma abitati da una vera e propria libertà interiore che ci fa scoprire che siamo chiamati ad amare gli altri e a comprendere che nell'altro c'è il volto di Dio e che il nostro fratello è a immagine e somiglianza del Creatore.

Solo partendo da una vera e propria intimità con Lui fatta nel quadro di un rapporto libero e vero si arriva a una vera e propria libertà interiore che non ci fa giudicare come fanno i farisei nel brano evangelico che la liturgia ci propone e che troviamo in molte occasioni.

Il rapporto con il Signore che hanno scribi e farisei è quello tipico di un Dio totalmente Altro e così distante che per loro è impossibile scorgerlo in ogni momento della giornata se non quando si mettono a compiere quella ritualità che li mette a posto con la loro coscienza.

Già Mosè ci dice la prima lettura invita gli israeliti, ormai prossimi alla Terra promessa, a considerare che Dio è molto più vicino di tutte le divinità che popolavano la fede dei popoli del Vicino Oriente di quel tempo.

Nella storia di Israele questa mentalità di un totalmente Altro non si è ancora allontanata perché, come ha anche affermato il Papa lo scorso 11 agosto nella Catechesi del Mercoledì, essi considerano la Legge come inizio del rapporto tra l'uomo e Dio non ricordando che prima di tutto c'è l'Alleanza tra Dio e Abramo.

Ci viene in aiuto nella sua semplicità l'Apostolo Giacomo nella seconda lettura: cuore della fede in Dio è visitare gli orfani e le vedove e non farsi contaminare da questo mondo.

Giacomo fa riferimento delle categorie di persone ma sappiamo bene tutti quanti che il cuore della relazione con Dio è la carità con tutte le indicazioni che Matteo ci offre al capitolo 25 (visitare gli ammalati, i carcerati, ospitare i forestieri e via dicendo) e sicuramente anche queste sono semplificazioni che ci debbono indurre all'attenzione al fratello che ci sta accanto.

Solo così la nostra fede non si fa ipocrita, ma autentica.