Omelia (05-09-2021) |
mons. Roberto Brunelli |
Ha fatto bene ogni cosa Uno dei tanti miracoli di Gesù, la guarigione di un sordomuto, è l'argomento del vangelo odierno (Marco 7,31-37). Il fatto si presta a molteplici interpretazioni, sul piano storico, teologico, simbolico, sociale; la prima lettura (Isaia 35,4-7) suggerisce di vedervi l'adempimento delle antiche promesse. Da secoli infatti lo stesso Isaia e altri profeti avevano preannunciato anche così l'arrivo del Messia: "Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto...". Gesù guariva ciechi, zoppi, sordi e muti e tanti altri, certo per compassione verso di loro, ma anche per far capire a tutti che con lui l'era nuova era cominciata, il Messia atteso era lui. Induce a riflettere, nel vangelo odierno, anche il commento di chi ha assistito al miracolo. Dicono: "Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!" Ha fatto bene ogni cosa: come dire, lui è Dio, perché solo Dio è perfetto. Lui è il metro di misura della perfezione; l'uomo riconosce in modo autentico i propri limiti, solo quando si confronta con Lui, quando guarda a se stesso nell'ottica di Lui. Se evita il confronto, se pretende di conoscere se stesso con le sole proprie forze, si incammina lungo questa o quella di due strade opposte: la superbia o la disperazione. O si ritiene in vario modo superiore ai suoi simili ed è tentato di sottometterli con intelligenza, astuzia, forza, potenza e così via; oppure esaspera i propri limiti e i condizionamenti cui è sottoposto, e se ne inquieta sino all'angoscia, talora sino al suicidio. Dio ha rivelato che la verità è ben lontana sia dall'una sia dall'altra di queste due strade. L'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, perché è dotato di intelligenza e di libertà, ed è capace di amare; Dio gli ha sottomesso tutte le altre creature, e gli ha aperto le porte della sua casa per un futuro di felicità, conferendogli così una dignità grandissima, onorevole in sommo grado, che a nessuno è consentito sminuire. L'uomo, ogni singolo uomo, può e deve riconoscere la propria grandezza, ma anche da chi gli deriva, e operare in conformità con chi gliel'ha data. Quando poi non lo fa; quando, avendo perseguito obiettivi suoi, ne scopre i limiti, non deve deprimersi, perché l'infinita bontà di Dio gli concede di ritornare sui suoi passi e riprendere il giusto cammino. La sua dignità, la sua grandezza resta intatta. Uno dei limiti dell'agire umano, forse il meno riconosciuto in una società che ha diviso gli uomini in classi, e le ha gerarchizzate secondo una scala di valori che non è certo voluta da Dio, consiste nel non considerare alla pari tutti quanti condividono la dignità di essere immagine e somiglianza del Creatore. Ne parla con un esempio chiarissimo la seconda lettura di oggi (Giacomo 2,1-5). Dice l'apostolo: "Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: ‘Tu siediti qui, comodamente', e al povero dite: ‘Tu mettiti là, in piedi', oppure: ‘Siediti qui ai piedi del mio sgabello', non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?" Da notare: il diverso trattamento, o anche solo la diversa considerazione, che riserviamo agli altri, così frequente nella nostra vita quotidiana, sono riprovati dall'apostolo in nome della fede. E in nome della fede aggiunge che semmai i termini vanno rovesciati, perché se una preferenza va data non è a chi già si trova in condizioni di privilegio: "Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?" |