Omelia (05-09-2021)
Missionari della Via


Dopo il suo viaggio verso il territorio di Tiro, dove ha guarito la figlia della donna siro-fenicia, Gesù si dirige verso il lago di Galilea.
Gli vengono incontro delle persone avvolte nell'anonimato che gli sottopongono un malato, descritto unicamente con la sua disabilità: è un sordomuto e chiedono a Gesù di imporgli la mano.
Gesù lo porta in disparte. La folla, comparsa a sorpresa, non può assistere al rito. Noi che ascoltiamo sì. Perché lo porta in disparte? Storicamente perché siamo in terra pagana e la missione di Gesù era soprattutto per Israele. Esistenzialmente per farci capire che per essere risanati abbiamo bisogno di essere condotti in disparte e stare con Lui, a contatto con Lui. Gesù compie i gesti del terapeuta: pone le dita negli orecchi e con la saliva (che secondo la mentalità del tempo aveva effetti sananti), gli tocca la lingua. Dunque due gesti in relazione alle due parti malate. Poi alza gli occhi al cielo e sospira. E la parola in aramaico: effatà, apriti. Immediatamente l'uomo ha forza di parlare e continua a farlo (verbo all'imperfetto elalei). Gesù gli impone il silenzio, affinché non sia frainteso come un guaritore famoso o un messia nazionalista. Solo dopo la sua morte e risurrezione i suoi gesti potranno essere compresi fino in fondo. Ma è impossibile tacere e i pagani lo annunziano: Marco usa il verbo kēryssō, specifico per indicare la "buona novella". Tutti sono infine stupiti oltre ogni misura.
È la prima guarigione di Gesù con una gestualità così complessa. Perché? Qui abbiamo qualcosa che ancora oggi viviamo nella liturgia. Nel sacramento del battesimo l'ultimo rito è il rito dell'effetà.
Il sordomuto pagano rappresenta la nostra condizione nativa. Siamo sordi alla parola di Dio e muti. Non la conosciamo, non la possiamo trasmettere. Abbiamo bisogno di ascoltarla, accoglierla nel profondo, custodirla e poi trasmetterla.
Gesù deve portare quest'uomo in disparte, lontano dalla folla, da quel bombardamento di parole, immagini, sensazioni che ci stimola continuamente, tenendoci lontani dall'interiorità. Nell'epoca dei social, molti sono connessi con il mondo e pubblicano di tutto e di più, ma sono soli, chiusi in loro stessi, incapaci di ascoltare fino in fondo qualcuno, dire parole sostanziate, profonde, vere. C'è tanta solitudine. È la malattia del nostro Occidente opulento. La nostra società è malata di "bulimia di parole": ciascuno dice la sua, senza sapere a volte cosa dice e senza l'umiltà di ascoltare chi invece lo sa. Ci si pensa "tuttologi" per due cose lette su internet!
La guarigione di quest'uomo passa attraverso una relazione con Gesù. Gesù lo tocca nelle orecchie, nel suo bisogno di ascoltare la verità, lo tocca sulle labbra, dandogli la grazia di dire parole sincere. Lo tira fuori dal suo isolamento. Così è per noi: se non stiamo con Gesù, se non ascoltiamo la sua parola, rischieremo di scambiare il bene con il male, di vivere tutta la vita restando in superficie; e davanti alla sofferenza e alle cose serie della vita saremo muti, incapaci di trovare e dare senso vero e profondo al vissuto. Ecco perché abbiamo bisogno almeno ogni domenica di ritirarci con Gesù, lontano dalla folla, per ascoltarlo profondamente, per lasciarci toccare orecchie e lingua, mente e cuore! Ecco perché abbiamo bisogno di ritagliarci quotidianamente del tempo per meditare la sua parola, per nutrirci della sana dottrina, per aprire a tempo debito le nostre bocche lasciando che vi escano parole belle, edificanti, illuminanti. In una società così vuota, viene la voglia di chiudere orecchie e bocca. E aprirle a Lui. E grazie a Lui.