Omelia (05-09-2021) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Ha fatto bene ogni cosa... l'Effatà I due brani della liturgia di oggi sono strettamente collegati, come del resto si evince dalla lettura globale dei testi. Isaia, secoli prima che Dio realizzasse il suo piano di salvezza in Gesù, annunciava tempi prosperosi nei quali la salvezza avrebbe avuto il sopravvento sulla disfatta e sull'abbandono. I popoli pagani, che evidentemente opprimevano gli Israeliti e in particolare il territorio confinante di Edom, sarebbero stati messi a tacere e Israele avrebbe avuto la sua liberazione. Come diverse volte si è evinto, il testo del libro di Isaia fa ricorso spesso ai paradigmi e alle immagini per rafforzare un concetto e anche in questo caso la liberazione viene descritta nei termini di "recupero della vista ai ciechi e dell'udito ai sordi"; espressioni che ragguagliano su uno stato futuro di capovolgimento di una situazione attualmente svantaggiosa. Può darsi che il profeta dell'Antico Testamento avesse fatto allusioni a reali prodigi di guarigione, ma la sua vera intenzione era quella di annunciare la fine di una schiavitù ancora più opprimente di un male fisico, ossia la fine del predominio degli stranieri. Ed ecco che adesso Gesù, tornando dalla regione di Tiro percorre la Decapoli (tutte zone pagane e miscredenti) e interviene con profitto su un sordomuto. Il brano evangelico descrive i particolari di alcuni accompagnatori dello sfortunato soggetto che implorano Gesù che allunghi la mano su di lui; Gesù però fa molto di più: lo prende con se in disparte, gli pone le dita nelle orecchie e con la saliva gli tocca la lingua e poi sospirando verso il cielo esclama: "Effatà!" Cioè Apriti. Agisce non soltanto affinché i presenti e la stessa persona sanata possano godere di un prodigio divino evidente, ma anche perché tutti commentino che "ha fatto bene ogni cosa", cioè "ha fatto udire i sordi e parlare i muti", ripresentando così l'attualità di quanto Isaia aveva preannunciato. Gesù cioè non soltanto guarisce ma libera e svincola da tutte quelle forme di oppressione e di ceppo che caratterizzano gli uomini compendiati nella persona di questo sordomuto. Un particolare interessante: Gesù non solamente mette questo povero malato in condizioni di parlare, ma addirittura di comunicare in una lingua, di esprimersi e di farsi capire. Dio in Gesù Cristo mette l'uomo in condizioni di aprirsi, ossia di ascoltare e di pronunciarsi adeguatamente verso lo stesso Signore e verso i fratelli. Egli stesso si è "rivelato" all'uomo; secondo l'accezione latina "rivelare" significa letteralmente "togliere il velo", quindi manifestare e palesarsi e questo Dio ha fatto con gli uomini: si è reso manifesto e aperto all'uomo, ha comunicato la sua Parola affinché l'uomo non restasse chiuso in se stesso ma fosse in grado di aprirsi a Dio e al prossimo. Quindi ha dato all'uomo la possibilità di vedere oltre che guardare, di soppesare, considerare e di... dialogare. E tutto questo è il costitutivo della libertà che Gesù ci ha guadagnato secondo la promessa del profeta Isaia. Nella persona del sordomuto liberato dal gravame della malattia, Gesù viene a liberarci da tutte quelle oppressioni che ci schiavizzano interiormente ossia che ci impediscono di ascoltare e di parlare. Disporsi all'ascolto e prendere la parola è proprio delle persone disinibite, non ostruite da tensioni o da timidezze, quindi libere da catene soggettivamente vincolanti. Oppure è proprio dei soggetti entusiasti, che credono in quello che hanno appreso, sempre pronti ad esporsi per ragioni di principio. Sono queste le persone che, nel pieno senso del termine, ascoltano per poi proferire agli altri, le persone libere da gravami e da oppressioni, cioè non impedite e convinte. Nella maggior parte dei casi non si è capaci di dialogare perché non si è sati capaci di ascoltare e questo può avvenire per varie ragioni: quello che si ascolta non è piacevole e non vale la pena prodigarsi per comunicarlo agli altri. Oppure quello che si ascolta non ci entusiasma, non ci convince e talora ci intimorisce, un po come nel caso dell'omertà: meglio tacere quello che si è visto o udito. Oppure ancora ciò a cui abbiamo prestato attenzione non ci riguarda, non ne siamo convinti. Quando invece si ascolta qualcosa che ci riempie di gioia o che costituisce il motivo per cui dobbiamo batterci, ebbene siamo pronti a diffonderlo immediatamente, senza remore e vincendo ogni timore. Quale di questi atteggiamenti deve suscitare in noi la Parola di Dio? Senza dubbio quello dell'ascolto attento, dell'assimilazione, della convinzione personale... in una parola della conversione. La Parola, con la quale Dio stesso si è aperto a noi inesorabilmente e senza riserve, nella persona del Figlio Gesù Verbo Incarnato non può che rappresentare per noi un imput all'attenzione profonda, convinta ed entusiasta che apporti a una reale presa di coscienza del suo valore. E questa assimilazione ci sarà di sprone ad animarci della gioia della comunicativa. Ascoltare per credere e credere per parlare. Con il suo intervento prodigioso sul sordomuto, Gesù "fa bene ogni cosa" perché con la sua messianicità viene a liberarci dei nostri fardelli inibitori con la sola gioia del dono di se stesso quale piena rivelazione del Padre, il quale dischiude i nostri orecchi e dispiega alla vista i nostri occhi perché possiamo dire con gioia quello che ascoltiamo e a cui assistiamo. Come gli apostoli, testimoni oculari della Trasfigurazione o appena fuoriusciti dal cenacolo in seguito alla manifestazione dello Spirito che discendeva su di loro sotto forma di lingue di fuoco. |