Omelia (12-09-2021) |
Paolo Curtaz |
Forza Possiamo averlo incontrato, Gesù. E riconosciuto, certo. Avere assistito, come Pietro, Giovanni, Andrea, alle sue parole, ai suoi gesti. Possiamo averlo frequentato sin da bambini e possiamo essere cresciuti a pane e oratorio. Oppure abbiamo riscoperto la fede da adulti disincantati e distratti, non particolarmente interessati dalle cose della Chiesa. Un cammino semplice, fatto di ascolto, di preghiera, magari sostenuti e portati da una comunità significativa, da preti e suore credibili. Allora, andando a vedere, frequentando giorno dopo giorno il Vangelo, imparando a conoscerlo, a scrutarlo, a pregarlo, il nostro cuore si è aperto alla fede. E, alla fine, sopraffatti dalla verità, ci siamo arresi. Non ci siamo fermati al si dice intorno al Signore. Non ci siamo accodati ai tanti che distrattamente parlano di Gesù solo come di un personaggio storico, un buon uomo finito male, un sognatore schiantato dalla violenza e dall'arroganza dei potenti del tempo. Bravo, per carità, un pezzo di pane, ma niente di più. Abbiamo lasciato che la provocazione ci raggiungesse nel profondo. Là dove l'anima vibra. Là dove ossa e soffio vitale si saldano. Abbiamo avvertito in noi stessi quella domanda impertinente, scomoda, lacerante. Lascia stare il giudizio degli altri. Tu, chi dici che io sia? Allora, anche noi, sul serio, commuovendoci, abbiamo risposto: sei il Cristo. Tu sei L'atteso. Il rivelatore. Il misericordioso. La pienezza. Il compiuto. L'armonioso. Il narratore del Padre. L'immagine del Dio invisibile. Il compassionevole. La verità. La giustizia. La pace. La luce. Il tormento. L'inquietudine infinita dell'uomo. Dio. Dio. Dio. Che salto mortale ha fatto il rude pescatore di Galilea per arrivare fino a quell'abisso, a quella vertigine assoluta? Il falegname di Nazareth, Jeshua figlio di Yussef il carpentiere. Lui, è Dio. Il Messia. Possiamo essere arrivati fino a qui. Possiamo averlo detto e ripetuto e creduto. Possiamo avere investito la nostra vita, tutta. Le nostre convinzioni, il nostro tempo, le nostre energie. Possiamo avere consacrato la nostra vita all'annuncio del Vangelo. Essere preti, suore, finanche monaci ed eremiti. O vescovi. O santi. E non avere capito nulla. Perché continuiamo a ragionare come ragiona il mondo. Crediamo di essere diversi. Umilmente diversi. Invece no. Come satana Pietro pensa di avercela fatta. E, in effetti, che razza di salto ha compiuto! Poi Gesù spiega in che modo vuole fare il Cristo. Non cambierà di una virgola, di un segno la sua predicazione. È disposto a morire per restare fedele al volto di Dio che racconta. Pietro tentenna. D'accordo, sì, certo. Ma queste parole scoraggiano il morale delle truppe. Lo prende in disparte, lo rimprovera. Insegna a Dio come si fa a fare Dio. Pensa come gli uomini, come noi, come me. Una vita devota e santa è segnata dal successo. Dalla prova che diventa manifestazione di gloria e di bontà. Non è prevista la sconfitta, il fallimento, mai. Gesù non la pensa così. E quel pensiero satanico deve convertirsi alla logica folle di Dio. Folle, sì. Croci Insiste Gesù, non si tira indietro, non attenua le sue parole. Rincara la dote. Rivolto a Pietro, e a me. Se vuoi essere discepolo questa è la logica. Devi essere disposto a morire piuttosto che rinunciare a Dio. Disposto a perdere tutto, anche la dignità, anche l'affetto dei famigliari e la stima delle persone, come chi è condannato alla croce. E donare la vita. Donarla anche se fa male. Anche se è illogico. Anche se è folle. Amare, senza farsi usare, senza melassa, senza gratificazione. Un amore nudo come è quello di Dio. Chiaro. Allora Davanti alla tempesta che ancora sconquassa quel fragile guscio di noce che è la Chiesa. Davanti alle accuse, ai veleni, ai corvi, alla Chiesa che brucia, alle dispute sempre più arroganti, sempre più inutili, alle comunità che languono, latitano, alle chiese che si svuotano, alla confusione, allo smarrimento, alla voglia di gettare la spugna. Davanti a quelli che sono sempre in ritardo di un Papa, a quelli che rilasciano patenti di ortodossia, a quelli che avvelenano la fede con la politica dell'odio e della divisione. Davanti ai fedeli che si chiudono nei loro piccoli gruppi col loro piccolo Gesù che li difende dalle brutture del mondo. Davanti a quanti cantano il De profundis della Chiesa cattolica, non senza qualche trattenuta euforia. Davanti alla tentazione di mollare, di sentirci migliori di questa feccia, di sprofondare nell'apatia e nell'afasia. Davanti a tutto questo, non abbiamo che una scelta: tornare a pensare secondo il pensiero di Dio. Tornare ad essere tutti discepoli. E chiederci, oggi, se amo il Signore. Se da lui mi sento amato. Se ancora ho voglia di amare. Forza.
|