Omelia (12-09-2021) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Sui sentieri della croce Pagina quaresimale ci si pone di fronte in pieno tempo ordinario. Ci rammenta l'itinerario di Gesù verso Gerusalemme con la conseguente consegna a coloro che vorranno la sua condanna di croce. Ci ravvisa che questo supplizio non interessa semplicemente l'uomo Gesù, ma il Figlio di Dio che deliberatamente vuole affrontare la spassionata tappa d'amore per l'umanità, mostrando se stesso quale "agnello votato al macello", sfigurato d'aspetto. La sua decisione è ponderata e risoluta. Non vi si oppone, non recrimina e accetta consapevolmente il suo destino, ben conscio che questo corrisponde alla volontà del Padre. Che cosa aveva stabilito Dio Padre per il suo unico Figlio? Che, a differenza di Isacco che fu risparmiato dal sacrificio sul monte, questi morisse come vittima sacrificale sul monte Calvario. Vittima del sacrificio di espiazione delle colpe del mondo intero, senza il quale sarebbe stato impossibile il riscatto dell'umanità. Era nel progetto di Dio che il Figlio dell'uomo soffrisse, venisse riprovato da scribi e farisei, fosse messo a morte perché solo così si poteva realizzare la nostra salvezza. E questo era il disegno del Padre: il sacrificio del proprio Figlio e non le vie di comodo o di successo immediato. Certo, dopo la crocifissione seguirà la risurrezione e l'esaltazione al di sopra di tutto (Eb 3), ma quella della morte sul legno doveva essere una tappa irrinunciabile. Disattenderla sarebbe stato dare alito alla volontà del maligno, la cui tattica è quella di fare apparire buono e giusto ciò che in realtà è distruttivo e deleterio. Solo il diavolo, nemico dei progetti di Dio, può ora inficiare la buona fede di Pietro al punto da fargli apparire sconveniente che il maestro si rechi a Gerusalemme, perché se nell'ottica del Signore l'immolazione favorisce il riscatto, nei progetti di Satana l'autodifesa, apparentemente legittima e utile, serve a distogliere il Figlio di Dio dal completare il progetto di salvezza. In altre parole, Satana sotto l'apparenza di amore filantropico suggerisce a Pietro che Gesù non deve recarsi a Gerusalemme. Per evitare la croce. E così non portare a compimento la redenzione e la salvezza. E in tutto questo sembra addirittura che Satana si prenda la briga di prevaricare sul Figlio di Dio e, per mezzo di Pietro dettare addirittura legge. Ecco perché Gesù risponde categoricamente e con tono deciso: "Va' dietro a me, Satana" (Non "allontanati da me"). Non può sostituirsi a Dio il maligno approfittando vigliaccamente della debolezza di un uomo, succube alle tentazioni. "Stai al tuo posto". La dimensione della croce è quella che più ci identifica come cristiani. Il suo mistero deve essere accolto e accettato senza riserve e di esso si dev'essere anche pronti a fare esperienza diretta affinché al Crocifisso noi ci associamo. Del resto, per quanto cerchiamo di evitarla eludendola o scaricandola su altri, la croce è sempre quella, inevitabile per tutti e di peso per chi non sa accettarla veramente come tale. Per quanto ne diamo le interpretazioni più svariate e stratificate, chiamandola con altri termini e identificandola come pena, sacrificio, tortura e qualche altro sinonimo di matrice profana o miscredente, essa è sempre la stessa per tutti e nessuno ne sarà mai esentato. Laici, anticlericali, atei, irreligiosi, cristiani o professanti altri culti, quella è sempre la stessa e a tutti ci si propone in ugual misura, non importa come la interpretiamo o il nome che le attribuiamo. Qual è la differenza fra la croce di chi crede e quella di chi non ha fede? Semplicemente chi crede la conosce come "croce" a tutti gli effetti, ossia come partecipazione al carattere espiativo del Cristo, come luogo della nostra salvezza nel partecipare alle sofferenze di chi ci ha redenti sul Golgota. E di conseguenza per il credente essa è un'opportunità e perfino un privilegio. Per chi crede nel Crocifisso essa è luogo di speranza; per chi non crede può diventare disperazione. Chi crede sa come attribuirle un senso, chi non crede può smarrire il senso della sua vita. Chi crede in essa vive di fiducia nel futuro (gloria e risurrezione); chi non crede può anche non aver futuro. La croce è una tappa dolorosissima e atroce, inevitabile, sconcertante ma necessaria se si vuol raggiungere qualsiasi obiettivo di gioia e di realizzazione; in essa si trova anzi il germe della vittoria perché essa racchiude la caparra della nostra gratificazione. Ma è garanzia di vittoria al termine della lotta, di gioia una volta terminato il dolore, di conquista una volta terminata la prova. "Solo un essere invidioso può godere del mio soffrire" diceva Pascal. Solo chi si colloca nella prospettiva del dolore di redenzione può partecipare del "segreto messianico", cioè sapere ciò che ad altri non è consentito di sapere. Gesù, come in tante altre circostanze, raccomanda a Pietro il "segreto messianico" cioè di non riferire a nessuno ciò che adesso Questi ha compreso "non per la carne o per il sangue"ma per rivelazione divina: che Egli è cioè il Signore, il Cristo Figlio del Dio vivente. Perché? Per il semplice fatto che Gesù non va accolto da altri semplicemente perché sia uomo dalle straordinarie facoltà o dalle grandi prerogative di taumaturgo o zelante predicatore, ma che vada accolto nella pienezza del suo mistero. Chi si lascia avvincere nella fede dal Cristo in quanto Figlio di Dio umiliato fino alla morte come agnello votato al macello, questi può avere confidenza del "segreto messianico". Chi invece è ancora lontano dall'unicità del fatto di redenzione della croce e non se ne lascia avvincere, chi pretende di scoprire Gesù per mezzo di puri elementi esteriori o solamente affascinato dal presunto sensazionalismo dell'immagine miracolistica, chi si sofferma insomma su un dato esclusivamente secondario della sua figura e del suo messaggio e chi solo in modo blando e superficiale si pone al suo seguito, ebbene non deve venire a conoscenza di quanto è "segreto", ma deve aprire il cuore alla rivelazione di un Dio Amore che è capace di donare fino all'immolazione di se stesso. La conoscenza di quanto gli apostoli conoscono di Gesù non deve interessare nessun altro, se non chi voglia aderire in pienezza al mistero della sua morte redentrice. Chi insomma accetta la possibilità di un Dio che si immola. Gesù è il Messia Servo umile e sofferente, le cui aspettative sono differenti da quelle dell'antico giudaismo che rivendicava un Messia capace di miracoli, imposizioni e coercizioni. Non è Messia belligerante e altezzoso, capace di rivoluzioni politiche e di affermazioni personali, ma di un messianismo del tutto solidale con i poveri e con i peccatori, con gli ultimi e con gli esclusi, con gli abbandonati. E soprattutto un agnello votato al macello, il cui strumento di salvezza è nient'altro che il supplizio. La vera messianicità verrà palesata sul Golgota e non sul trono o su un pulpito. "Lo straordinario si fa evento", dice il titolo di un'opera di Bonheffer e la grande straordinarietà dell'evento Gesù Cristo è la forza di Dio che si è manifestata nella croce. Chi ripudia la croce ripudia qualsiasi articolo di fede. |