Omelia (19-09-2021) |
diac. Vito Calella |
Il conflitto tra due sapienze risolto incontrando Gesù nei poveri La lotta tra "sapienza terrena" e "sapienza dall'alto" É impressionante il clima di conflitto che si percepisce nell'ascoltare e meditare i testi biblici offerti dalla nostra Chiesa per questa domenica. Pregando il testo del libro del libro della Sapienza, il conflitto è causato dal coraggio dell'uomo giusto di voler correggere coloro che hanno abbandonato la pratica della fede, dimostrando con il loro comportamento di non voler obbedire alle leggi dei comandamenti di Dio. Abbiamo ascoltato il pensiero degli empi: «Il giusto ci turba: si oppone al nostro modo di agire, ci rimprovera per le trasgressioni della legge e ci rimprovera per le colpe contro la nostra disciplina» (Sap 2,12). Ció che ci racconta oggi il libro della Sapienza è accaduto proprio con Gesù di Nazareth. Aveva infastidito i farisei e le autorità religiose del giudaismo denunciando la loro ipocrisia e cecità. Essi progettarono la sua persecuzione e la sua morte. Ebbero la malizia di sfidare il suo rapporto di obbedienza con Dio Padre: «Vediamo, dunque, se è vero ciò che dice, e vediamo che ne sarà di lui. Se infatti il giusto è "il figlio di Dio", Dio lo difenderà e lo libererà dalle mani dei suoi nemici. Allora, mettiamolo alla prova con offese e torture, per vedere la sua serenità e dimostrare la sua pazienza, condanniamolo a una morte vergognosa, perché, secondo le sue parole, qualcuno verrà in suo soccorso» (Sap 2,17-20). Questa pianificazione maligna corrisponde perfettamente alla consapevolezza che aveva Gesù mentre si recava a Gerusalemme con i suoi discepoli. Gesù sapeva di essere giusto ed essere circondato anche da nemici che volevano farlo fuori, perché la predicazione del regno del Padre e molti dei suoi miracoli compiuti anche in giorno di sabato provocavano la sensibilità legalistica ed elitaria dei capi della religione ebraica. Per questo, per la seconda volta, annunciò apertamente ai suoi discepoli che «il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini ed essi lo uccideranno.Ma tre giorni dopo la morte risorgerà» (Mc 9,31). Accade ancora oggi che certe persone, raggiunte dall'azione misericordiosa di una correzione compiuta da altri, possano scatenare reazioni egoistiche che si rivertono contro coloro che avevano cercato di aiutarli a cambiare il loro comportamento. La libertà di queste persone è completamente condizionata da motivazioni malvagie. Possono pianificare vendette spiacevoli e persino pericolose. Nel testo della lettera di Giacomo compare il conflitto tra «sapienza terrestre, materiale e diabolica» e «sapienza umile che viene dall'alto». In Gc 3,13-15, che non è stato proclamato nell'odierna liturgia della Parola, si legge: «Chi tra voi è saggio e intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non dite menzogne contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall'alto: è terrestre, materiale, diabolica». Segue il testo ascoltato oggi: «perché dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni» (Gc 3,16). La «sapienza terrestre», chiamata «materiale e demoniaca», contrasta con la «sapienza che viene dall'alto». La lettera continua: «Invece la sapienza che viene dall'alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (Gc 3, 17). Parlare di del conflitto tra queste "due sapienze" equivale a parlare di «vita secondo la carne» e «vita secondo lo Spirito», come è attestato nelle lettere di Paolo. Scrivendo ai Galati, l'apostolo delle genti evidenzia la tensione: «Le opere della carne sono ben note: illegittima unione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, contese, gelosie, rabbia, argomenti, discordie, il settarismo, invidie, ubriachezze, abbuffate e cose simili. Ve ne ho già parlato, e vi avverto ancora: chi pratica tali cose non erediterà il Regno di Dio. Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, generosità, perseveranza, umiltà e padronanza di sé Contro queste cose non c'è legge» (Gal 5,19-23). Nel racconto del Vangelo di Marco appare il conflitto tra i discepoli. I dodici apostoli non ci danno un buon esempio! Domenica scorsa Pietro era stato rimproverato da Gesù e denominato «Satana» perché aveva completamente respinto il primo annuncio che Gesù aveva fatto loro della sua passione, morte e risurrezione. La reazione dell'intero gruppo dei discepoli di Gesù al suo secondo annuncio è incredibile: incomprensione, paura e silenzio vergognoso a causa della disputa tra loro lungo il cammino su chi dovesse essere riconosciuto il più grande. Abbiamo ascoltato: «I discepoli non capirono queste parole e avevano paura di chiedere» (Mc 9,32). Quando arrivarono a casa, di fronte alla domanda di Gesù, che voleva conoscere l'argomento discusso lungo il cammino, «tacevano perché avevano discusso su chi fosse il più grande» (Mc 9,34 ). Le aspirazioni alla competizione e alla vanagloria presero il sopravvento nei loro cuori, gli istinti egoistici di piacere, potere e paura imprigionarono la loro "libertà di cuore", di cui avevano bisogno per seguire Gesù da discepoli nella verità e non nella menzogna. L'apostolo Paolo, scrivendo ai Filippesi, prima di presentare il bellissimo inno che canta l'umiltà di Gesù, la spogliazione dalla sua dignità divina e la sua obbedienza incondizionata al Padre fino alla morte in croce, cioè al suo "farsi ultimo" per essere esaltato nella gloria di risuscitato ed essere riconosciuto come "Signore" da tutte le creature (Fil 2,6-11), esortò i cristiani di quella comunità a liberarsi dalla radice diabolica della competizione e della brama di voler essere riconosciuti davanti agli altri. Così esortava: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,3-5). Il desiderio di competizione e di autoglorificazione non ha nulla a che vedere con la testimonianza di vita del vero discepolo di Gesù. Ci fu dunque conflitto tra i dodici apostoli, conflitto tra i cristiani destinatari della lettera di Giacomo; ci può essere lo stesso conflitto anche nelle nostre comunità. I virus della competizione, della vanagloria, del voler essere i primi, del potere, del piacere di ottenere migliaia o milioni di "like" nei social, della paura di essere ritenuti "nessuno" dagli altri, sono difficili da sconfiggere. Qual è il vaccino contro questi virus? Cosa possiamo fare perché prevalga in noi la vita secondo lo Spirito, cioè la sapienza che viene dall'alto, sempre vigilanti sul pericolo di cadere in una vita secondo la carne, cioè nella schiavitù di una sapienza terrena, materiale, diabolica? Scegliere l'appuntamento con qualcuno che è "l'ultimo nella società" La risposta di Gesù è stata un bambino, che è apparso all'improvviso, senza nome, ma che è stato accolto da lui, posto al centro del gruppo, appoggiato al suo petto. Sappiamo che il bambino, l'orfano, la vedova, i lebbrosi erano figure tipiche dei poveri più poveri nella cultura ebraica e di qella dei popoli vicini di quel tempo. Gesù invece disse: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me. E chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandat» (Mc 9,37). Contempliamo dunque in quel bambino accolto da Gesù qualcuno di insignificante agli occhi del mondo; identifichiamolo negli "ultimi" che incrociamo per strada. La lista può essere lunga. Sono i crocifissi della storia di oggi. L'invito di Gesù è di vivere almento un appuntamento cuore a cuore con qualcuno di loro. Incontrare i poveri sofferenti non significa che dobbiamo risolvere i problemi sociali una volta per tutte. Oggi vogliamo chiedere a Cristo Risorto che, con la fortezza del suo Spirito, ci dia il coraggio di poter sperimentare, nel qui ed ora della nostra vita, un'esperienza di ospitalità di una persona sofferente. Basta un solo incontro di condivisione vera e sincera con un sofferente per allenarci a smettere di voler essere «primi» e a scegliere di diventare «gli ultimi e i servi di tutti», nelle nostre famiglie, nella nostra comunità cristiana, nel nostro ambiente di lavoro. Questa è la richiesta principale che vogliamo fare oggi, perché è chiaro per noi cristiani che i poveri più sofferenti non sono solo "persone da aiutare con ceste di viveri, medicinali ed elemosine", ma Gesù ci insegna che «di loro è qui e ora il regno di Dio» ( Mt5,3). Non c'è esperienza di conversione più bella che lasciarsi evangelizzare da loro. |