Omelia (19-09-2021)
padre Antonio Rungi
Ultimi umanamente, ma primi eternamente

La parola di Dio di questa XXV Domenica del Tempo Ordinario ritorna sul tema della passione e morte in croce di Gesù, di cui parla lo stesso Maestro con gli apostoli nel tentativo di prepararli allo scandalo della croce. Il brano del Vangelo ci presenta Gesù che attraversa la Galilea, sempre in compagnia dei suoi discepoli. E l'evangelista Marco annota subito il fatto che Gesù voleva che nessuno sapesse niente dei suoi spostamenti. I motivo di questa omertà del dire le cose stava nel fatto che Egli, in termini molto confidenziali, comunò agli apostoli il suo prossimo destino, e cioè la sua imminente morte per condanna. Ma Gesù aggiunge pure che dopo tre giorni sarebbe risorto. C'è più l'annuncio pasquale della morte e risurrezione di Gesù Cristo, il Figlio di Dio.

Il discorso fatto dal Signore, come si legge nel testo del vangelo di Marco, non fu capito dagli Apostoli, in quanto non avevano minimamente l'idea di ritrovarsi davanti ad un maestro che sarebbe stato condannato a morte, ma che avrebbe assunto il potere in Israele, quello politico e militare come tutti si aspettavano da secoli, pensando, erroneamente, al messia salvatore e liberatore.

Non avevano quindi la coscienza che il mistero della morte e della risurrezione era un mistero di salvezza e non di condanna. Perciò come leggiamo nel testo del vangelo di Marco avevano timore di domandargli qualche cosa e di interrogarlo su quell'argomento. Una volta, però, aggiunti a cafarnao è Gesù a chiedere agli Apostoli di che stavano discutendo lungo la strada. Evidentemente erano dietro al maestro e lui non aveva sentito il loro discorso. Si aspettava una riposta da loro, che non arriva direttamente ma che ci comunica l'evangelista Marco nella relazione e cronaca che fa di questo breve viaggio e sosta a Cafarnao.

Quando furono in casa, non sappiamo quale casa fosse, ma possiamo pensare che fosse la casa di Pietro, oppure una casa di sosta e di appoggio dove gli apostoli insieme al maestro si fermavano nei loro trasferimenti, una volta arrivati li Gesù chiede espressamente a loro di cosa stavano discutendo per la strada. A questo punto viene fuori la verità: lungo la strada stavano discutendo di cose futili, non aderenti al messaggio di Gesù, anzi in netto contrasto con i suoi insegnamenti. Per strada dice testo dell'evangelista Marco avevamo discusso tra loro chi fosse più grande tra loto. Il tema della grandezza, della superiorità, del primo del gruppo era questa la cosa che interessava loro. E' il discorso di sempre che facciamo noi esseri umani di fronte ad un eventuale occupazione del potere e della primazia degli uni rispetto agli altri.

Sono i temi di tutti i giorni della nostra vita, di sempre e non soltanto del tempo di Gesù: l'arrivismo, il carrierismo, il successo, è questo anche nell'ambito della Chiesa.

Gesù avendo capito che gli apostoli avevo discusso di cose inutili e insignificanti, chiamò a se i dodici e disse loro: "Se uno vuole essere il primo sia l'ultimo di tutti e servitore di tutti". Viene ribaltata la visione delle cose umane e sociali. Non è il primo che è il più importante, ma l'ultimo. Per cui se uno non diventa ultimo e servitore di tutti non entra nella concezione cristiana della vita e della Chiesa.

Quindi bisogna farsi ultimi per diventare primi e rinunciare ad essere primi umanamente per essere primi eternamente.

A questo punto Gesù dopo aver capito di cosa stavano discutendo lungo il cammino, fece un gesto molto semplice, anche emblematico, per far capire agli apostoli che bisogna cambiare mentalità di fronte alla sfida del potere, dell'esercizio della superiorità che nella storia ha portato a disastri di ogni genere.

A questo punto prese un bambino, non sappiamo chi è questo bambino, forse stava in quella casa, lo pose in mezzo al gruppo degli apostoli e con un gesto molto bello e tenero lo abbracciò, per indicare la tenerezza di Dio e chi in Dio deve esprimere tale tenerezza sempre.

A questo punto Gesù fa il suo grande discorso teologico ed ecclesiologico e dice "Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome accoglie me e chi accoglie me non accoglie me ma colui che mi ha mandato"

Messaggio molto chiaro da parte del Signore. Un Dio che si è fatto bambino. Gesù, infatti, è nato nella grotta di Betlemme ed ha percorso lo stesso itinerario di formazione biologica di ogni essere umano, E' nato da una donna, per opera dello Spirito Santo, e precisamente nel grembo della Beata Maria Vergine la sua madre dolcissima. Poi si è sviluppato, nutrendosi ed alimentandosi, nel corso degli anni per diventare grande fino al punto da essere condannato a morte a soli 33 anni di vita.

Con queste sue parole, Gesù ci invita a farci il bambino e di accogliere i bambini nel suo nome perché chi accoglie la semplicità, la tenerezza, la bontà, la spontaneità, l'essenzialità accoglie Dio stesso, perché Dio si manifesta in questo modo. In questa espressione Dio si rivela bambino, è un Dio che si è fatto bambino, anche nel mistero della croce, della redenzione, nella sua semplicità, nella sua spontaneità, nella sua generosità. Pur essendo il primo si è fatto ultimo e liberamente è salito sul patibolo della croce per salvarci.

Gli apostoli di fronte a questa sfida che Gesù lancia nei loro confronti sono rimasti sorpresi, in quanto pensavano che il Messia portasse avanti quel discorso che fanno un po' tutti gli uomini di potere che hanno un seguito ed hanno mezzi: affermarsi in tutti i modi pur di prevalere sugli altri e dominare. E ciò riguarda anche gli ambienti ecclesiastici. Invece Cristo ci ha insegnato ad essere ultimi umanamente, per essere, davanti a Dio i primi eternamente.


Nella prima lettura tratta dal libro della Sapienza troviamo in questo testo i primi riferimenti importantissimi alla figura del Messia che dovrà patire, soffrire, essere giudicato e condannato a morte. Leggiamo. Infatti nel testo di Isaia: "Tendiamo insidie al giusto che poi è di inciampo e si oppone le nostre azioni, ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le tradizioni contro l'educazione ricevuta".

Come è facile capire, si tratta di un riferimento circa l'azione di formazione delle coscienze che Gesù porta avanti nel suo Ministero pubblico.

Proprio in ragione di questa sua incidenza nella vita morale personale e sociale del suo tempo, Gesù viene considerato come un elemento di inciampo, di scomodo che bisogna eliminare. E Infatti viene messo alla prova attraverso le varie forme di violazione della sua libertà di espressione, di movimento e anche di manifestazione della sua stessa identità personale, che è quella di Figlio di Dio. Nel testo della Sapienza, leggiamo testualmente: "Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine". Se è giusto e Figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Il passaggio più significativo di questo brano lo troviamo proprio nel versetto seguente: "Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, lui che conosce la mitezza e saggiamo il suo spirito di sopportazione". E' questo proprio un riferimento esplicito a quella che sarà la fine del Divino maestro. Condanniamolo a una morte infamante, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà. Il quadro è quello del futuro Gesù Cristo, Crocifisso. Egli viene già descritto nella sua estrema sofferenza in questo breve testo del Libro della Sapienza.


Anche la seconda lettura tratta, dalla lettera di San Giacomo Apostolo, troviamo indirettamente, riferimenti alla figura mite di Gesù. Leggiamo, infatti: "Fratelli miei, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine ed ogni sorta di cattive azioni. Invece, la Sapienza che viene dall'alto è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale, sincera.

Gesù è il Messia paziente, puro, mite e arrendevole, usa misericordia e ha un atteggiamento di comprensione e di perdono verso tutti. Gesù è la Sapienza incarnata, che viene dal cielo. Se viviamo in Lui e di Lui non ci possono essere conflitti, divisioni tra di noi.

Per cui, se facciamo tesoro della parola di Dio e la mettiamo in pratica, cioè la viviamo concretamente ogni giorno, tra di noi si abbattono muri, anziché alzarli, come sta succedendo in questo tempo in cui tanti profughi afghani scappano via dal proprio paese per trovare approdo presso paesi più civili ed anche più accoglienti.

Concludendo questa riflessione sulla parola di Dio di oggi, facciamo tesoro di quello che scrive l'apostolo Giacomo in questo brano della sua splendida lettera: "Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a noi"? E ci sono. Non possiamo negarle perché è così. "Non vengono dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?".

Quali sono le passioni a cui fa riferimento san Giacomo? La gelosia l'invidia, la cattiveria, la malizia la ed altre simili o più terribili che spingono a fare guerra e tendono a distruggere gli altri. Perché succedono tutte queste cose. L'apostolo Giacomo esprime il suo pensiero in merito: "Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere, uccidente, siete invidiosi e non riuscite a ottenere, combattete e fate guerra, non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per soddisfare, cioè le vostre passioni.

Monito quindi a non chiedere a Dio, agli altri, alle persone, alla società le cose che sono immorali, che non sono ingiuste, che sono contro la verità, che superano ogni limite morale.


Attraverso la preghiera di intercessione e di impetrazione dobbiamo imparare a chiedere le cose di cui abbiamo realmente bisogno, quello che è più importante per la salvezza della nostra anima. Sia questa la nostra preghiera oggi: "O Dio sorgente della vita, davanti a Te il più grande è colui che serve. Donaci la Sapienza che viene dall'alto, perché accogliendo i piccoli e gli ultimi riconosciamo in loro la misura del tuo regno, che è farsi piccoli, è farsi umili, è farsi semplici, come ti si è fatto tu o Cristo per noi, nel mistero della tua vita, morte e risurrezione. Amen.