Omelia (26-09-2021) |
padre Antonio Rungi |
Tutti progetti della carità e del servizio ai più' poveri e bisognosi La parola di Dio di questa 26esima domenica del tempo ordinario ci presenta il tema della profezia come impegno di tutti i cristiani ad esercitare questo mandato che ci deriva dal battesimo. Partendo proprio dal Vangelo di Marco, nel testo di questa domenica leggiamo che Gesù conversa con i suoi discepoli in merito ad alcune tematiche di particolare rilievo teologico ed ecclesiale, che hanno attinenza con la sua vita e con la missione degli apostoli. Sono infatti proprio loro a riferire a Gesù quello che hanno osservato, dimostrando una certa preoccupazione: "Maestro abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo perché non ci seguiva", cioè non faceva parte del loro gruppo. Facile intuire che il gruppo dei dodici si protegge e vuol difende il potere che Gesù aveva assegnato loro, addirittura, con lo scacciare i demoni. Gli Apostoli rivendicano l'esclusività, ma in questo caso esprimono solo una chiusura fortissima a livello di mentalità e soprattutto di coscienza del proprio ruolo e della propria missione. Non sono loro ad autorizzare il bene da farsi, ma Cristo che determina ciò che unisce l'umanità intorno al bene, che può essere fatto da chiunque. Ecco perché Gesù ammonisce gli apostoli di non impedire a nessuno di fare il bene, perché come giustamente lui afferma: "Non c'è nessuno che faccia un miracolo nel suo nome, nel nome di Dio, e subito dopo possa parlare male di Dio stesso, ben sapendo che quell'azione di grazia viene direttamente da Dio. Tutto ciò che è guarigione, liberazione e santificazione è solo frutto del cielo, questo lo sappiamo benissimo e lo comprendiamo meglio alla luce di questa esperienza della pandemia. Cosa bisogna fare di fronte alle persone che nel nome di Dio operano il bene in ogni campo e ogni contesto? Gesù a tal proposito ha detto una cosa molto semplice, ma carica di significato nel brano del vangelo odierno. Possiamo dire che lancia un vero e proprio slogan e motto, spesso utilizzato anche nel nostro modo di parlare comunemente: "Chi non è contro di noi e per noi". Le persone che condividono sinceramente i nostri progetti, non possono essere contro di noi, magari diventeranno in seguito i nostri avversari e nemici acerrimi, ma nel momento in cui agiscono insieme agli altri come comunità, è chiaro che in quel momento sono a favore e operano il bene non a titolo personale ma a titolo della chiesa o dell'umanità. In tal caso, tutto la comunità ne beneficia, ma ne riceve danni qualora anche il singolo agisca male. Giustamente Gesù fa un discorso che deve essere compreso da tutti i cristiani. Un discorso di comunione, di apertura al bene e di chiusura unitaria e comunitaria al male. Nessun può rivendicare il diritto di essere l'unica persona, l'unico gruppo, l'unica entità giuridica e istituzionale a fare il bene nel mondo e su questa terra. Gesù coglie l'occasione da questo fatto della guarigione di un indemoniato per sviluppare un'altra tematica nei versetti successivi del vangelo di Marco che abbiamo ascoltato. Va, infatti, nel merito della carità, del servizio, della disponibilità dell'uno verso l'altro. E dice cose così normali che propone un vangelo della semplicità: chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome, perché siete di Cristo, in verità io vi dico non perderà la sua ricompensa. Il richiamo alla carità sta nel gesto semplice del dar da bere, che è un'opera di misericordia corporale. Un'azione che va fatta nel nome di Dio. Gesti semplici come quelli contemperati nelle opere di misericordia corporale e spirituale non sono impegnativi, non costano molto. Certamente chi le compie, non perderà la sua ricompensa davanti a Dio. Forse in questo mondo non avrà neppure la riconoscenza; ma davanti a Dio certamente anche i semplici gesti di un bicchiere di acqua acquistano valore di eternità. Il discorso più serio che San Marco ci offre oggi nel suo vangelo è quello relativo allo scandalo. Si tratta di un argomento molto sentito oggi e giustamente contrastato non solo nella chiesa, ma in tutti gli ambienti. A fare da maestro e specialista su questo tema è Gesù stesso, che afferma che chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e venga gettato nel mare. Queste espressioni vanno intese, capite e interpretate nel contesto del messaggio cristiano. Gesù non istiga al suicidio o all'omicidio, ma con i suoi discorsi che fa agli apostoli, ma anche alla gente comune, richiama l'attenzione sullo scandalo che può investire ambienti una volta esenti. Non bisogna scandalizzare con il proprio comportamento, soprattutto i piccoli, i fragili, le persone che non hanno la forza di difendersi, né la capacità di reagire al male. Per cui c'è una responsabilità molto grande da parte di coloro che hanno in mano la formazione, l'educazione, la guida degli altri. Essi devono essere di esempio e non di scandalo, per santità di vita, vicinanza, tenerezza, purezza, accoglienza soprattutto delle persone fragili. E non ci riferiamo solo ai bambini, ma anche alle persone fragili, nel corpo e nello spirito, che sono nell'incapacità di intendere e di volere. Da qui in senso metaforico e simbolico di tagliare mano e occhi se sono motivo ed occasione di scandalo. Tre organi di senso molto importanti per fare il bene, ma anche che possono fare del male. In tal caso bisogna tagliare, amputare non fisicamente ma spiritualmente. Quindi bisogna tagliare i ponti con tutto ciò che è immoralità e scandalo nella nostra vita, soprattutto quando il nostro modo di agire e di operare porta offendere la dignità dei più piccoli e dei più fragili. Se abbiamo a cuore la salvezza eterna della nostra vita bisogna abbandonare la via del male e seguire la via del bene, la vita di Dio, la via del Cristo Morto e Risorto per la nostra salvezza.
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