Omelia (03-10-2021) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Sai che basta l'amore Nella versione parallela di Matteo relativa a questo argomento delicato, la domanda era posta in modo più completo e insidioso, in modo da esplicitare maggiormente il tranello di cui Gesù doveva essere vittima ad opera dei suoi interlocutori. Li infatti non si chiede semplicemente se sia lecito che un uomo ripudi la propria donna, ma: "E' lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?"(Mt 19, 3 - 6) Detto in altri termini: è necessario un motivo qualsiasi per ripudiare la propria donna o è necessaria una motivazione legittimante, quale potrebbe essere un atto di infedeltà da parte sua? Nell'Antico Testamento vi era la concezione culturale del primato dell'uomo sulla donna. L'elemento femminile non veniva considerato nel computo della genealogia e della discendenza e la donna era solo una proprietà dell'uomo, non dissimile da un oggetto o da un animale. Da questo si deriva il fatto che solo l'uomo avesse potere decisionale sulla sua consorte, solo lui poteva quindi deliberare se ripudiarla o trattenerla a casa. La donna non poteva ripudiare il coniuge pena il reato di adulterio, ma l'uomo poteva farlo nei confronti della propria consorte. Ma a quali condizioni? Vi erano due movimenti culturali (scuole giudaiche) in perenne conflitto su questo argomento: secondo la scuola di Hillel perché l'uomo congedasse la propria moglie da casa era sufficiente un motivo qualsiasi, anche il fatto che essa "non trovasse più grazia ai suoi occhi. Secondo la scuola di Shammai, occorreva invece la prova certa di un avvenuto adulterio da parte della donna. In qualsiasi maniera Gesù avesse risposto, avrebbe certo scontentato una delle due posizioni vigenti e avrebbe attirato su di sé il malcontento e la ferocia di non poca gente. Gesù però si mostra molto più astuto dei suoi sottili interlocutori e nella sua risposta non soltanto pone elementi risolutivi alla questione, ma ripristina la dignità originale della coppia sponsale. "Per la durezza dei vostri cuori (Mosè) scrisse per voi questa norma", consentendovi di adottare la soluzione del libello di ripudio. La presunzione e l'ostinazione dell'uomo tende a prevaricare perfino la Parola di Dio, a legittimarne la sovversione dopo averne stravolto il senso. La durezza del cuore è affinata sempre all'orgoglio e alla presunzione, che conduce ad essere liberi esegeti arbitrari di un concetto che nella rivelazione dovrebbe essere invece lapalissiano, o almeno sufficientemente chiaro: "Maschio e femmina li creò". Dio realizzò l'uomo, la più nobile fra le creature, in modo tale che "non fosse solo", ma che avesse qualche specie a lui pari, o meglio a lui complementare per riscoprire se stesso nella libertà e nella felicità, che è possibile solo quando ci si sente amati e quando si ama a propria volta. La donna che Dio mette accanto a ciascun uomo è parte di lui, forma con lui un solo elemento, un solo corpo e una sola anima, anche se la singolarità di ciascuno è salvaguardata. Maschio e femmina li creò perché tutt'e due fossero "una sola carne", una sola comunione familiare che deve perdurare tutta la vita. Nel medesimo brano citato, derivante dalla cosiddetta Tradizione Javhista, lo stesso termine "uomo" (ebraico Adam) nella sua etimologia comprende l'unione simbiotica fra il soggetto maschile e il soggetto femminile; è cioè un'accezione asessuata, che comprende l'armonia fra maschio e femmina. Gli stessi termini maschio (ish) e femmina (ishah) indicano una relazione di parità e di reciprocità per cui ambedue si appartengono a vicenda. Si chiamerà donna non perché sia un animale o un oggetto per il trastullo dell'uomo, ma perché è stata tratta dall'uomo, è sua parte integrante, elemento di coesione. Quando un uomo e una donna si concedono l'uno all'altra avviene che il costitutivo della simbiosi fra di loro è l'amore, nel quale ogni cosa comincia e perdura con perseveranza. Amarsi l'un l'alttro, cioè volere il vero bene l'uno dell'altro è il vero matrimonio, amore di donazione gratuita e spontanea, che trova la sua ragion d'essere proprio nelle sfide e nelle avversità della vita di tutti i giorni. Amore con il quale Dio ci ha scelti sin dall'eternità, traendo ciascuno di noi dalla sua personale esperienza, per fare di noi un'unica famiglia, un cuore solo e un'anima sola. Come può avere spazio allora l'idea della separazione, del divorzio, del ripudio e di qualsiasi altra alternativa alla sacralità del matrimonio? Se Dio unisce in un vincolo l'amore fra un uomo e una donna, ne deriva un'appartenenza indissolubile, una comunione simbiotica reciproca che è destinata a durare per sempre, a realizzarsi nella comunione e nell'appartenenza reciproca continua. Di conseguenza, non solamente la donna pecca di adulterio venendo meno alla fedeltà verso il proprio coniuge, ma anche (novità assoluta apportata adesso da Gesù) anche l'uomo è adultero e reo quando voglia ripudiare la propria consorte. Con la stessa spregiudicatezza con cui veniva interpellato Gesù, anche noi ci domandiamo come mai oggigiorno si assiste a un continuo ricorso a scelte meno impegnative che fungano da alternativa al matrimonio: separazioni, unioni di fatto, nuove nozze... La nostra è l'epoca della crisi di sacralità del matrimonio e del relativismo etico, per il quale oggi è da ritenersi lecito e conforme ciò che solo 20 anni or sono suscitava scandalo e mormorazione. Parlando con un giovane avvocato, questi mi diceva che nella sua pur breve carriera si è trovato ad affrontare innumerevoli casi di separazioni e di divorzi in tantissime coppie che cedevano anche dopo pochissimi mesi. E commentava: "La scelta del matrimonio non viene svolta con la dovuta serietà o con la necessaria ponderazione. Molti giovani si sposano vittime di labile entusiasmo fugace, senza valutare gli impegni che la vita matrimoniale comporta. E così alla prima difficoltà crollano e si avvalgono di scelte inesorabili che in realtà sono solo di comodo." E' troppo facile infatti arrendersi senza lottare, venir meno agli impegni presi e ai sacrifici che ci si era proposti consapevolmente; ma se il criterio della convivenza sponsale fosse davvero l'amore, si vincerebbero tutte le sfide e ogni difficoltà sarebbe dominabile. Quando ci si vuol davvero bene, si affronta davvero ogni cosa con determinazione e coraggio, si superano tutti gli inconvenienti e si raggiungono tutti i traguardi. L'amore infatti comporta accettazione disinvolta dell'altro, comprensione vicendevole quanto ai difetti e alle limitazioni, sopportazione condivisa delle angosce, unione nella lotta contro le difficoltà. Amore significa sottoporsi entrambi sotto lo stesso giogo, da cui appunto la parole "coniuge". Del resto l'amore fra due coniugi è riflesso dell'amore indefinito che Dio nutre verso il suo popolo; è riverbero dell'amore che Dio vive in se stesso nella comunione di mutua appartenenza fra Padre, Figlio e Spirito, attesta al vincolo di comunione che lo Spirito Santo vuole realizzare all'interno della Chiesa e di ogni singolo gruppo o comunità.. Se il Cantico dei Cantici dice che "forte come la morte è l'amore", in Gesù si evince che l'amore supera la morte e ne ha ragione, anche a proposito dell'eternità dell'amore fra due coniugi. Solo se si considera la grandezza dell'amore di Dio, collocandosi dal Suo punto di vista, è possibile accettare come veritiera una simile impostazione di indissolubilità del matrimonio. |