Omelia (03-10-2021) |
don Alberto Brignoli |
I separati Da qualche anno la Chiesa, per molti aspetti giustamente, ha cominciato a dare un'attenzione particolare ai separati, ai divorziati, a coloro che dopo il divorzio o la separazione si sono rifatti una vita dal punto di vista affettivo e hanno iniziato una nuova relazione, spesso anche resa più stabile da un nuovo matrimonio (il più delle volte, ovviamente, celebrato solo in forma civile). Queste forme di vita insieme sono raggruppate, canonicamente parlando, intorno a un termine a mio parere poco felice: si parla, infatti, di situazioni matrimoniali "irregolari o difficili". Ora, ammesso che dietro a un amore che finisce o che non riesce a trovare una collocazione stabile all'interno di una società civile o religiosa ci possa essere sempre una difficoltà e soprattutto una serie di sofferenze che non sempre si riesce a superare, mi chiedo quale sia il criterio della "regolarità" con il quale si debbano confrontare tutte le persone che desiderano dare alla propria vita affettiva e di coppia un significato cristiano; e non solo loro, ma anche io come pastore mi sento in forte difficoltà a definire "regolare" la vita affettiva di una coppia o di una persona e "irregolare" quella di altre persone, sia perché della vita di coppia (siamo sinceri almeno in questo!) noi sacerdoti sappiamo e capiamo ben poco, sia perché non credo che la regolarità, la felicità e neppure la santità di una vita a due sia data da un certificato di matrimonio religioso conservato intatto per anni. Innanzitutto, ringraziamo il Signore per tutte le coppie che, tra mille difficoltà e problemi, hanno ottenuto da lui la grazia di conservare intatto il loro vincolo, e speriamo che questo valga sempre per tutte le persone che iniziano una vita di coppia e di famiglia, siano esse sposate in chiesa, in sinagoga, in moschea o in comune. Ma mi piacerebbe tanto che si superasse la mentalità che ci spinge a vedere come un problema, come una difficoltà o come una cosa "irregolare" o sregolata la vita affettiva di chi non ha avuto questa grazia o non ce l'ha fatta a conservarla, spesso subendo soprusi, angherie, abusi, violenze, o anche solo mancanza di rispetto. Chi mi conosce sa che non amo molto parlare di queste cose come di un problema; non perché non ne veda le criticità e le fatiche, ma forse proprio per questo motivo, ossia perché vedo che chi fa fatica a comprendere e chi assume atteggiamenti di criticità (o meglio di critica) riguardo a questi temi è proprio la Chiesa, e in particolari chi, nella Chiesa, ha una certa responsabilità. Oggi però lo stimolo mi viene offerto dalla Parola di Dio, dove ci imbattiamo - prima ancora che nella disputa tra Gesù e i farisei sulla regolarità del matrimonio - in quel meraviglioso testo del capitolo 2 di Genesi, dove si narra la creazione della donna, con un linguaggio e una modalità che oggi qualcuno oserebbe definire "sessista" o quantomeno maschilista (infatti, sembra quasi che sia Adamo a partorire Eva, e non viceversa...ma del resto non si sapeva ancora cosa fosse l'evoluzione della specie), ma che in realtà denotano la bellezza della vita di coppia, di due persone create diverse perché complementari e complementari nonostante diverse, di due persone fatte l'una per l'altra per aiutarsi in maniera corrispondente, di due persone che sono veramente carne della propria carne e ossa delle proprie ossa perché tra di loro c'è qualcosa (che si chiama Amore) che le unisce, e di fronte al quale anche l'aiuto del più fedele degli animali a cui l'uomo mise il nome non può minimamente avvicinarsi (io voglio bene agli animali, a tutti gli animali, ma non mi permetterei mai di chiamarli "amore mio"...). Ancora, Genesi rilegge la vita di coppia alla luce di una situazione originaria che ci parla di due persone (tra l'altro, non ancora sposate regolarmente...) che, in nome dell'attrazione reciproca che poi diviene amicizia e poi affetto e poi amore, lasciano il padre e la madre e formano un'unità profonda di intenti, quella "carne sola", che non è solo unione fisica, ma di "carne", cioè umanità fragile ma tenuta insieme da un'unione di cuore, di testa e di anima. Come dovrebbe essere oggi e sempre, perché - lo ricorda Gesù ai farisei - "all'inizio della creazione" Dio fece questo. Questo è il progetto originario della creazione: che i due siano una sola carne, una sola fragilità e debolezza, o meglio due debolezze e due fragilità che messe insieme sono capaci di dare solidità alla loro vita. E quando questa solidità non c'è più? E quando la carne manifesta tutta la sua fragilità e non riesce più a tenere insieme due vite che - non dimentichiamolo - rimangono comunque e sempre due vite? Il Vangelo - se non vado errato - non parla mai di divorziati e risposati come di "irregolari". Parla, invece, di separati: eccome, se ne parla. Anche nel Vangelo di oggi abbiamo dei "separati". Chi si avvicina a Gesù "per metterlo alla prova" (quindi non per ricevere da lui un insegnamento, ma per "tentarlo"... lo stesso verbo usato per satana nel deserto, tra l'altro...) sono proprio dei "separati": chi conosce il mondo ebraico, sa che il termine "fariseo" significa proprio "separato". Certo, non in senso matrimoniale, forse; ma di sicuro in senso spirituale e religioso. I farisei erano i separati, i diversi dagli altri, quelli che si distinguevano per santità da tutti gli altri, quelli che erano irreprensibili nel seguire le leggi, quelli che applicavano le leggi sugli altri facendole loro pesare, quelli che avevano creato nella Legge di Mosè una sorta di isola felice sulla quale si erano rifugiati "separandosi" dagli altri, e dalla quale si permettevano di giudicare il "mare magnum" della malvagità umana, sfruttando sempre la Legge a loro favore. Come nel caso della vita di coppia, dove una legge ingiusta e disumana (scritta per regolare anche solo con un atto formale ciò che nella prassi avveniva con una facilità estrema) permetteva all'uomo di sbarazzarsi di sua moglie per un motivo qualsiasi, anche solo perché non era capace di cucinare o perché nel corso degli anni la fatica di essere madre ne aveva sfiorito la bellezza; alla donna, invece, nulla di tutto ciò era concesso, e Gesù non lo manda a dire né a loro né ai suoi scandalizzati discepoli che in casa gli chiedono spiegazioni al riguardo: Dio ha fatto l'uomo e la donna uguali nella dignità, e la reciprocità che c'era nelle origini è la stessa reciprocità che deve essere ritrovata oggi e sempre. Una reciprocità in cui entrambi possono sbagliare, ma in cui a entrambi è data l'opportunità di ricostruirsi; una reciprocità in cui non c'è uno che comanda sull'altro e che manca di rispetto all'altro; una reciprocità che - per richiamare alle origini - viene dall'essere una sola carne, in unità di corpo, di testa, di anima, di intenti. I veri separati di fronte a Dio, allora, non sono quelli che nella vita son giunti alla dolorosa scelta (a volte subita) di dover interrompere una vita a due, che a due più non era; i veri separati da Dio sono quelli che si mettono di fronte a lui, si permettono di metterlo alla prova, di creare divisione, e di sentirsi perfetti e in grado di giudicare gli altri sulla base della loro presunta perfezione. Quindi, non ci devono più essere norme nella Chiesa al riguardo della vita affettiva? Certo che ci devono essere, eccome. E a dire la verità, ne basta una: quella dell'amore. Che è reciprocità, rispetto, e unità di testa, di cuore, di intenti e speriamo sempre, il più possibile, anche di vita insieme. Sono discorsi complessi da capire? Può darsi. Ma qualcuno che li capisce e li accetta senza troppi patemi d'animo c'è: è ancora una volta il bambino, la cui predilezione da parte di Gesù chiude la Liturgia della Parola di oggi. Un bambino non si chiede se il papà e la mamma sono regolarmente sposati n chiesa: si chiede solo se lo amano. Un bambino non si chiede se la mamma e il papà siano sempre stati una sola carne, una sola testa e un solo spirito: desidera solo che lo amino. La semplicità dei bambini - sembra dirci oggi Gesù - unisce la comunità dei credenti molto di più del farisaico atteggiamento dei benpensanti. |