Omelia (17-10-2021) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Marco 10,35-45 Dicono che si diventa grandi accanto alle persone grandi. Niente da stupirsi se qualcuno degli Apostoli puntava a far carriera... Il potere fa gola a tutti, e per tutti costituisce una tentazione alla quale è difficile resistere. Per secoli la Chiesa ha esercitato un potere temporale, oltre che spirituale, o, forse, prima ancora che spirituale, tanto da costituire l'ago della bilancia degli equilibri politici internazionali. Del resto, anche Gesù era stato tentato dal diavolo a trasformare la religione da strumento di salvezza per tutti gli uomini, a vero e proprio potere sulle coscienze e non solo... basta leggere i racconti delle tentazioni riportati dai 3 Evangelisti Sinottici. Ma il Figlio di Dio non cadde nella trappola di Satana! E oggi il Nazareno mette in guardia i Dodici e tutti coloro che lo seguiranno, dallo strumentalizzare la fede a fini che non siano il servizio della carità. È una lezione difficile da capire, e invece facile, molto facile da equivocare. La posizione di un confessore, di un maestro di spirito, di un pastore d'anime - perdonate se spendo una parola per la mia categoria - è estremamente delicata, sempre in bilico tra disimpegno e dirigismo, tra esagerato distacco dalla vita dei fedeli, e pericolosa invadenza nelle loro storie... C'è pure chi di noi rimpiange i bei tempi andati, quando il parroco, il farmacista e il maresciallo dei carabinieri, erano le autorità del paese, il punto di riferimento sociale per tutti, vecchi e bambini... "Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. (...) Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce (...); il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità." (Is 53). Quanto è difficile predicare il Cristo, rimanendo alla giusta distanza dal messaggio; essere uno strumento, una via tra tante per raggiungere e far raggiungere la libertà che è Cristo; dire anche noi, senza false modestie: "Sono un servo inutile, ho fatto solo il mio dovere..." (cfr.Lc 17,7-10). In un tempo dove the pride, l'orgoglio sembra diventato l'elemento necessario, obbligatorio per dare spessore alla propria identità di genere, al proprio lavoro, anche alla propria vocazione... E così, all'ormai cinquantenale gaypride, si è aggiunto il familypride... Mi chiedo, che bisogno c'è di ostentare il proprio stato, invece di esserlo e basta? L'ostentazione è sempre un eccesso. Non sarà forse il sintomo di una bassa autostima? Ne abbiamo già parlato tante volte, non è il caso di ritornarci su. Non c'è alcun merito ad essere un buon prete, così come non c'è alcun merito ad essere un buon padre di famiglia, una buona madre, un buon insegnante, un buon capo di industria, un buon operaio... Nessun merito ad essere un buon cristiano! Dare il meglio di noi stessi, sempre, dovunque e con chiunque... anche in campo di fede fattiva - si chiama carità -. Per aiutarci a rimettere le cose a posto, nel giusto ordine, ci viene incontro la Seconda Lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei: "Poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della (nostra) fede.": sulla vetta del monte, seduto sul trono, c'è già Lui! ...non abbiamo bisogno di cercarci un trono, un piedistallo, qualcosa che ci innalzi sopra il volgo disperso che nome non ha... su quel trono, su quel piedistallo ci ha già collocati il Signore, dal giorno in cui, salito al Cielo, dopo la Sua risurrezione, si è assiso alla destra del Padre. La nostra umanità è già glorificata! Peccato che spesso ce ne dimentichiamo e facciamo valere gli aspetti più bassi e meschini della nostra natura... Più che il desiderio di essere innalzati, sembra prevalere in noi quello di abbassarci al disotto di quella dignità che Cristo ha rivelato essere la nostra vera e perfetta dignità. Peccato che il peccato faccia così piacere. Ma il peccato non è affermazione di noi stessi, tutto il contrario: (il peccato) è negazione di noi stessi. Perché il peccato ci riduce ad una dimensione, ci priva della nostra profondità, del nostro spessore, della nostra verità,... "Il Figlio dell'uomo, neanche Lui è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in nostro riscatto.": così si conclude il Vangelo di oggi. Cristo è al servizio della nostra fragilità, per rivelarci che fare il bene produce un piacere incommensurabilmente maggiore di quello che si prova a fare il male; anche se (il bene) non appare nelle cronache dei giornali, o nei reality show. Un ultimo particolare meritevole di concludere la riflessione di questa XXIX Domenica, è la promessa che Gesù fa ai due fratelli apostoli: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete...". Questo è il modo cristiano per spiegare che cosa significa diventare come Gesù. Se proprio vogliamo parlare in termini di trionfi da mietere, ebbene, prima del trionfo c'è sempre la passione... e questo lo attesta la storia di Roma, prima che il Vangelo... L'unica differenza è che il trionfo di Cristo non è soltanto Suo, come accadeva negli anni dell'Impero, ma di tutti coloro che credono e crederanno in Lui. Lo dichiara anche san Paolo: "Certa è questa parola: Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo." (2Tm 2,11-12). |