Omelia (01-11-2005) |
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* Credo sia successo più o meno a ognuno di noi di sentirsi proclamare "beato" o magari a propria volta di proclamare "beato" qualcun altro. "Beato lei" infatti è un espressione che suona come riconoscimento delle proprie supposte fortune, dei propri standard di vita immaginati come invidiabili; "beato lei, sapesse quanto la invidio!" è un'espressione che fa supporre in chi la pronuncia chissà quali sofferenze e drammi nascosti. Viene toccato il fondo della lagnosità propria di questa espressione quando essa è completata così: "beato lei che non ha problemi!"... * A parte il modo di dire di uso corrente che al pari di tanti altri modi di dire rivela una discutibile sensibilità fraterna, una tendenza all'egocentrismo e al vittimismo e, perché no, anche una sottostante visione di Dio non certo come Dio "imparziale", nel distribuire destini di vita, fortune e malanni, tale espressione è esattamente e dinamicamente opposta e contraria a quella sfilza di "beati" usati da Gesù nel famosissimo discorso delle "beatitudini". Che sia rivolto soprattutto ai discepoli o anche alla folla poco conta sul piano della spiritualità evangelica perché in quel luogo erano presenti tutti per cui quel "discorso" è considerato a buona ragione una specie di "magna carta" programmatica di vita cristiana. Una "magna carta" che ribalta in maniera rivoluzionaria soave (la rivoluzione vera non è mai violenta, parte da sé e non dalle strutture, non lede nessuno nella sua vita o nella sua dignità) la mentalità corrente dell'uomo di ogni tempo (e del discepolo di ogni tempo) deluso, arrabbiato o triste a causa dei "problemi della vita", problemi reali o immaginari. Scrive Mark Twain: "Ho sofferto tante disgrazie... che non mi sono mai accadute!". * Un ribaltamento "spirituale" (che cioè dal profondo dell'anima sia messo in grado di trascinare appresso anche mente e cuore...) del modo di vedere la vita che non intende affatto sottovalutare il dolore delle incomprensioni, dei soprusi, delle violenze sottili oppure incoraggiare la rassegnazione becera di fronte all'ingiustizia, ma che li colloca al livello spirituale suo proprio che è quello del mistero e non quello del frettoloso e interessato calcolo dei profitti e perdite... e che ci fa avvertire che quando non va tutto "liscio come l'olio" non c'è da andare in crisi di fede o da mettere il muso a Dio... o ai fratelli. * E' proprio questo il punto di riferimento. In luogo dello sgomento che arriva a fare gemere anche l'anima ("ma allora Dio ce l'ha con me", "non me lo meritavo proprio questo destino" e via di seguito) occorre saper sussurrare un sereno "grazie", paradossale finché si vuole, per poter meritare il titolo di "beato". * Se è vero che "Dio delude sempre chi se lo immagina a modo suo", è anche consequenzialmente vero che per non cadere nella trappola della disillusione occorre attrezzare quotidianamente l'anima (che poi trascina mente e cuore) alla accettazione fiduciosa della volontà di Dio. Accettazione possibile soltanto tramite l'orazione sostenuta dal convincimento profondo che "Dio non ci libera dalla sofferenza, ma ci protegge nella sofferenza" ed anche che "Dio non soddisfa sempre i nostri desideri, ma mantiene sempre le sue promesse". Tutto questo reso possibile se sullo sfondo rimane ben visibile lo scenario del Regno di Dio. C'è solo da avere "pazienza", da tenere duro. E' così breve il tempo dell'amare terreno da sprecarlo in rabbia, delusione, risentimento, riottosità contro Dio, e quel che è peggio, contro i fratelli... C'è soltanto da "resistere fortemente nella fede". E questo vale a maggior ragione per i discepoli se vorranno essere come indica Gesù senza mezzi termini "sale della terra" e "luce del mondo"... proprio in barba a ostacoli, incomprensioni, maldicenze e persecuzioni. Un'annotazione finale: nella carriera spirituale dopo il grado di "beato" viene quello di "santo". Non è un caso che la lettura di oggi sia stata situata proprio nella festa di Tutti i Santi. Commento a cura del prof. Gigi Avanti |