Omelia (17-10-2021)
Paolo Curtaz
Gloria o luce

Gesù scende verso Gerico.
Dalla professione di fede di Pietro, a Cesarea di Filippo, sono passati pochi giorni.
E il lettore del Vangelo di Marco, ora, ha finalmente una risposta alla sua domanda riguardo alla vera identità di Gesù.
Il Cristo.
Ora, dal punto più a settentrione di Israele, Gesù scende a sud, anche fisicamente.
Segue il percorso del Giordano che sprofonda nella faglia fino a raggiungere Gerico, quasi trecento metri sotto il livello del mare. È l'immagine plastica di quello che Gesù, riconosciuto Cristo, ha detto di sé: è venuto per condividere, per farsi povero fra i poveri, ultimo fra gli ultimi.
Una kenosi, una spoliazione, un annientamento.
Buffo: noi sgomitiamo e sbraitiamo per brandelli di popolarità, Dio, invece, si abbassa.
E, scendendo, Marco pone al lettore una seconda domanda: chi è in grado di seguire questo Maestro? Chi è il vero discepolo?
Non il giovane ricco, troppo legato ai suoi beni e alla sua brillante vita interiore.
E nemmeno gli apostoli.
Ahia.

Che cosa?
Che cosa volete che io faccia per voi?
Gesù risponde alla richiesta di Giacomo e Giovanni. Inopportuna, peraltro.
Lo chiamano Maestro, come il giovane ricco. Riconoscono in lui un rabbino.
Ma lo blandiscono, come i bambini. Deve dire di sì a prescindere, prima ancora di sapere cosa gli chiederanno. È il tipico atteggiamento ricattatorio di chi chiede fiducia incondizionata.
Se ti fidi di me, se mi ami, se mi rispetti, devi dire di sì a quanto ti chiederò.
Vengono i nervi solo a leggere.
Gesù, invece, accetta la provocazione. Ci sta.
Che cosa volete che io faccia per voi?
Bene, perfetto, Dio è benevolo, disposto, di buonumore.
Ed ecco la richiesta: prendere i primi posti nel Regno.
Regno... quale Regno? Per tre volte Gesù ha detto loro che finirà male, malissimo.
Ha parlato di morte e di croce ma anche della sua determinata e ostinata scelta di procedere.
Non si fermerà nemmeno davanti alla violenza. Porterà fino in fondo la sua missione.
E i discepoli devono scegliere anch'essi quella strada, quella determinazione.
E ora parlano di gloria.
Assurdo.
Non sanno di cosa stanno parlando. Non sanno dove si trovano. Non sanno con chi si trovano.

Gloria o luce
Non sta al Maestro decidere.
Lui è tutto e solo del Padre. E si fida del Padre. Ci sarà una gloria, ma dopo avere attraversato la valle della morte. Si dicono pronti, i discepoli. Non lo sono. Non lo saranno.
Marco, poco più avanti, ci farà incontrare Bartimeo, il cieco.
Anche a lui Gesù possa la stressa domanda:
Cosa vuoi che faccia per te?
E risponderà: che io veda.
Oggi Gesù mi pone la stessa identica domanda:
Cosa vuoi che faccia per te?
Possiamo rispondere la gloria.
Oppure che io veda.
Possiamo ambire a successi, applausi, riconoscimenti. Anche santi, anche cattolici, anche devoti, anche umili.
O chiedere luce.
Luce. Luce. Luce.
Che io veda, Signore, perché sono sprofondato nella mia tenebra. Che io veda.

Non così
Litigano, gli apostoli.
Non perché rimproverano ai boanerghes la loro improvvida uscita. Ma perché li hanno preceduti sul tempo. Idioti. Nessuno ha capito. Nessuno sta capendo. Sono lontani da quanto il Signore sta vivendo.
Lontanissimi.
E Gesù ancora mette da parte il suo dolore, il suo umore, la sua fatica.
E si fa Maestro. Insegna.
Non così fra voi. Non così fra noi.
Nelle parrocchie, nei gruppi, fra i sacerdoti, fra i vescovi.
Non così. Non richieste di visibilità e riconoscimento. Non logica aziendale. Non logica di questo mondo. Non così.
Ma, a imitazione del Maestro, autorità e responsabilità come servizio, sul serio.
Senza dominare sulle nazioni, sui popoli.
Perché di servi liberi e autentici, di persone che si prendono a cuore la felicità altrui, senza contrapposizioni, senza toni rabbiosi, senza secondi fini ha urgente bisogno, oggi, il mondo.
E la Chiesa.

Sia tempo di condivisione e di ripensamento, questo Sinodo imminente. Non pratica burocratica ma desiderio profondo di restituire al mondo un Vangelo accessibile e credibile. Senza cercare di rispolverare improbabili glorie, ma luce necessaria a dire di Dio.