Omelia (24-10-2021) |
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Commento su Marco 10,46-52 Gerico è la prima città espugnata da Giosuè, che segna l'ingresso nella terra promessa. Quando Gesù vi entra, incontra un cieco, immagine plastica dei discepoli e dei personaggi incontrati sino a questo momento lungo la strada. Il Vangelo di oggi è collegato con quello di domenica scorsa, dove i due fratelli, Giacomo e Giovani, chiedono l'onore di sedere alla destra e alla sinistra di Gesù. Il cieco seduto lungo la strada, infatti, si chiama Bartimeo, il cui nome, tradotto letteralmente, significa "figlio dell'onore". Quest'uomo non vede, è privo della luce di Dio, poiché i suoi occhi si sono dapprima annebbiati, facendogli perdere la direzione del cammino e poi si sono chiusi, bloccandolo definitivamente, tanto che, come racconta l'evangelista, "sedeva lungo la strada". La sua missione è divenuta quella del mendicare, poiché chi perde Dio è incapace di vedere come uomo, la gloria di cui è stato rivestito: "Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato" (Sal.8,6). Quando dimentichiamo l'onore che Dio ci ha concesso, sin dalla nascita, allora lo dobbiamo necessariamente mendicare agli altri uomini (1Ts. 2,6): la miseria umana non consiste nella povertà, quanto nel vivere in funzione dell'onore che un altro uomo può concedere. La richiesta del cieco di Gerico, dunque, è la medesima dei due fratelli discepoli, convinti che Gesù rappresenti quel re Messia, che avrebbe soffocato nel sangue i nemici d'Israele. Il cieco, ascoltando la chiamata di Gesù, getta via il mantello delle sue sicurezze, fatte di logiche e tradizioni esclusivamente umane, e solo grazie a questo gesto di liberazione, l'uomo di Gerico comprende che Gesù è il "Rabbunì" (Signore mio), e la vista gli ritorna nuovamente. Quest'ultimo non era nato cieco, ma lo era diventato nel momento in cui aveva perduto il rapporto con Dio e la verità su chi egli, come uomo, fosse. Non possiamo essere guariti, se non siamo capaci di risollevarci, con buona volontà, dalla condizione spirituale in cui ci siamo rintanati, gettando via quella logica prettamente umana che ci impedisce di vedere Dio nel nostro vissuto. Commento a cura di Emanuela Vinai |