Omelia (24-10-2021)
padre Antonio Rungi
Ridonaci, Signore, la vera vista, quella della fede

La parola di Dio di questa XXX domenica del tempo ordinario ci invita a riflettere sul dono della fede, a partire dal testo del Vangelo. Questo racconta di un altro grande miracolo operato da Gesù lungo la via che partiva da Gerico. Il figlio di Timeo, Bartimeo, si rivolge a Gesù con una precisa richiesta di guarigione della sua cecità: "Maestro fa' che io riabbia la vista". La condizione in cui si trovava di disabile lo costringeva, come spesso si vede anche nelle nostre città, a chiedere l'elemosina per poter viver. Come cieco non può fare alcuno lavoro ed al tempo di Gesù non c'erano le pensioni per invalidità civile. Non c'erano quelle garanzie sociali ed economiche che oggi in quasi tutti i paesi evoluti e civili si hanno.

Come si legge brano del vangelo di Marco, al seguito di Gesù c'era tanta gente, a conferma della popolarità che si era acquistata il Maestro con la sua missione e con il suo operare a favore degli ultimi e dei sofferenti. E' un altro sofferente quello che Egli incontra sulla strada, un altro crocifisso di quel tempo, bloccato dalla sua cecità.

Gesù, mosso dalla tenerezza del suo cuore, sentito quello che chiedeva il cieco, opera la guarigione e ridona la vista e soprattutto la speranza di cominciare una vita normale a questo uomo infermo e indifeso.

Nel racconto del brano evangelico di Marco ci sono alcuni importanti passaggi che è opportuno sottolineare.

Il cieco si rivolge a Gesù con il nome ben conosciuto ed identificativo della discendenza regale e davidica, a conferma della divinità del Cristo: "Figlio di Davide, abbi pietà di me".

E lo dice due volte con insistenza. E' la richiesta di una persona in necessità che si rivolge a chi certamente può fare molto o tutto. Quell'abbi pietà di me è una richiesta precisa di prendere a cuore la sua situazione di malato, che spera in una vita normale.

Lo comprendiamo perfettamente alla luce del dialogo che si instaura tra Gesù e Bartimeo, che viene convocato alla presenza del Maestro, mediante il coinvolgimento degli Apostoli, ai quali Gesù dice di chiamarlo, visto che gridava forte e la gente cercava di farlo zittire.

E di fatto il cieco si presenta al cospetto di Gesù, faccia a faccia, a tu per tu, ed inizia un dialogo diretto, senza più mediazioni.

Quanto è bello ed importante parlare a tu a tu con Dio nella preghiera. E qui siamo in un contesto di preghiera di impetrazione e di richiesta di grazia. Infatti Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». In questo caso è Gesù che si rivolge al cieco e gli chiede cosa può fare per lui. Alla domanda di Gesù, Bartimeo risponde con immediatezza senza pensarci due volte. D'altra parte per questo motivo chiedeva il suo aiuto. Parole semplici, forti e convincenti: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Con poche parole, con pochi gesti e il cieco, mediante la fede, è guarito dalla sua cecità fisica e dalla cecità spirituale al punto tale che si mise a seguire Gesù lungo la strada. Diventa discepolo anche lui e lo fa con la gioia del cuore, come aveva fatto prima, nel momento in cui, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e corse da Gesù.

Cosa che dovremmo fare sempre, quando le necessità di qualsiasi genere, soprattutto spirituali ed interiori, ci dovrebbero spingere nella giusta direzione, che è quella della Chiesa, della preghiera, della celebrazione eucaristica, della confessione e dell'abbandono fiducioso in Dio.

Lo dovremmo fare maggiormente in questo tempo post pandemico e correre tutti da Gesù per ringraziarlo per essere ancora in vita, rispetto a quanti ci hanno lasciato a causa della pandemia. Non sempre lo facciamo presi come siamo da tante esclusive preoccupazioni di salute fisica, trascurando la salute spirituale, quella che ci fa gridare forte, come il cieco del vangelo di oggi, Signore abbi pietà di me, ridonami la vera vista, quella dell'anima e non solo quella del corpo. Senza la luce della fede non si va da nessuna parte, perché si è ciechi nell'anima.


L'atteggiamento misericordioso ed accogliente di Gesù lo riusciamo a percepirlo ancora meglio nel brano della seconda lettura di questa domenica, tratto dalla Lettera agli Ebrei. In questo testo ci viene ricordato che Gesù è il sommo e vero sacerdote, perché "Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore". Diversamente dai sommi sacerdoti dell'antica alleanza, scelti da Dio per tale compito e che si assumevano questo compito, "Gesù Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l'ordine di Melchìsedek». Gesù il Figlio di Dio, inviato dal Padre nel mondo è l'unico, vero ed eterno sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek. Questo sommo ed eterno sacerdote è colui che veramente ha salvato il suo popolo dalla perdizione eterna, come ci anticipa il profeta Isaia nel brano della prima lettura di oggi: "Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d'Israele". Ha salvato tutti, sani ed ammalati, poveri e ricchi, cieco e zoppo, donna incinta e la partoriente. Con l'intervento di Dio tutti hanno potuto sperimentare la ritrovata gioia. Erano, infatti, partiti nel pianto gli Israeliti ed ora ritornano a sperimentare la gioia, le consolazioni, l'abbondanza dei doni del Cielo, in quanto il Signore è un vero padre per Israele». Questa paternità di Dio la vediamo espressa nella missione del suo Figlio come preghiamo oggi con tutta la chiesa all'inizio della messa: O Dio, Padre buono, che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote compassionevole verso i poveri e gli affitti, ascolta il grido della nostra preghiera e fa' che tutti gli uomini vedano in lui il dono della tua misericordia".