Omelia (24-10-2021) |
padre Gian Franco Scarpitta |
L'incontro che cambia la vita Espressione di salvezza nella Bibbia è liberare zoppi e ciechi dalla loro infermità. Ed è esattamente quello che promette Geremia quando annuncia che il popolo d'Israele, una volta superata la prova dell'esilio, otterrà la liberazione e la salvezza: i benefici che riceveranno ciechi e zoppi sono speculari dello stato generale di liberazione e di affrancamento che otterranno gli Israeliti una volta ravveduti. Una promessa di gioia ventura e di consolazione, caratterizzante l'opera di amore con cui Dio si rivela al suo popolo. Misericordia che si tramuta in occasione di gioia. La promessa di liberazione politica dopo l'esilio babilonese del 586 si realizzerà puntualmente, ma essa riguarderà un'altra visita del Signore, altrettanto puntuale e definitiva: Dio ci libererà definitivamente nella persona del Messia promesso, del liberatore e del consolatore universale che tanto è stato atteso dalle genti. Gioia e novità nella liberazione viene data anche nell'episodio di cui al brano evangelico di oggi, dove Marco ci racconta dell'incontro di Gesù con un malcapitato non vedente di cui si conosce (cosa insolita) il nome: Baritmeo, letteralmente "Figlio di Timeo". A dire il vero, Matteo, in un racconto parallelo (20, 29 - 34), rende protagonisti di questo incontro due ciechi, mentre Marco e Luca parlano di un solo non vedente che mendica. Può darsi che Baritmeo non fosse solo e abbia parlato per due persone (come dice qualche esegeta), fatto sta che questo miserando uomo è identificato come il figlio (bar) di Timeo. Questi, appena sente il trambusto della folla che cammina attorno a lui, comprende che passa Gesù il Nazareno e allora comincia a invocare la sua presenza davanti a sé, chiamandolo "Figlio di Davide"; adopera cioè un appellativo messianico, riconoscendo in lui l'Unto promesso da Isaia, appunto dalla stirpe di Davide. Chiamandolo a squarciagola, Baritmeo esterna tutta la speranza che può dipartire solo dalla fede, quella per la quale si è convinti che in un modo o nell'altro qualcosa si realizza e che vale la pena di no demordere ma di perseverare fino alla fine perché l'obiettivo si raggiunga. La presenza del Messia alimenta la fede e la speranza in questo pover'uomo, che, nonostante i rimproveri degli astanti perché taccia, alza ancora di più la voce invocando per sé Gesù "Figlio di Davide". E' una professione di fede che il non vedente sta professando e Gesù non può non considerarla. Infatti, se prima era il cieco a chiamare lui, adesso è egli stesso che lo vuole davanti a sé. L'incontro si conclude con una frase a dire il vero ricorrente nei vangeli: "La tua fede ti ha salvato". Essa accompagna la guarigione di questo cieco e comporta un radicale cambiamento di vita, come si vuole in qualsiasi incontro con il Signore. La fede, prospettiva dell'accoglienza gratuita e spontanea di un dono gratuito, è l'elemento che rende possibile la guarigione fisica e allo stesso tempo dischiude le porte al rinnovamento interiore, al radicale mutamento di sé per il meglio. Baritmeo "getta via il suo mantello", episodio che nella Bibbia si ripete in altri luoghi e che indica come il mantello sia allusivo alla persona. Il cieco cioè getta via radicalmente la sua vecchia configurazione personale, per disporsi ad un incontro che gli consentirà di assumere radicalmente un altro se stesso. L'incontro con Gesù gli cambia radicalmente la vita non soltanto recuperandogli nuovamente le facoltà ottiche, ma anche rinnovandolo interiormente e predisponendolo ad un futuro di innovazione e di creatività: egli seguirà Gesù radicalmente e senza condizioni. Bartitmeo è liberato dalle occlusioni della cecità, ma anche la sua umanità viene riscattata dai vincoli opprimenti dell'orgoglio, del pregiudizio e di quanto impedisce di trovare in Dio la propria realizzazione. Ma i merito maggiore è della fede, "fondamento delle cose che si sperano, prova di quelle che non si vedono"(Eb 11, 1), con la quale ci si apre al dono della rivelazione e alla corrispondenza alla chiamata e che apre gli occhi recuperandoci la vista intorno alla nostra stessa realtà di uomini in continua ricerca di noi stessi. E la ricerca viene appagata quando finalmente sappiamo vedere noi stessi nell'incontro radicale con Gesù. |