Omelia (31-10-2021) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Marco 12,28-34 "Non sei lontano dal regno di Dio.": non essere lontano dal - io preferisco dire: essere vicino al - Regno di Dio, è certo incoraggiante, specie se è Gesù a dichiararlo. Tuttavia c'è ancora un po' di strada da fare, una distanza da colmare,... l'obbiettivo non è stato ancora raggiunto. Ad essere pessimisti, viene da pensare: "Chissà se mai lo raggiungeremo?"... L'ottimista, invece, commenterebbe: "Beh, stiamo camminando nella direzione giusta, non resta che continuare... Domani saremo più vicini, e domani l'altro, lo saremo ancora di più...". Le parole del Signore mi hanno richiamato alla mente la riflessione del mio illustre confratello fr.Timothy Radcliffe, il quale ricorda spesso che prima del Concilio di Trento, prima che venissero concepiti e pubblicati i primi manuali di casuistica, sbilanciati, per così dire, sulla morale del peccato, si ragionava più sulla morale delle virtù, che sono quelle energie necessarie a raggiungere una meta, un obbiettivo, mantenendo lo sguardo fisso sul fine ultimo, piuttosto che sui singoli atti, in particolare, sui peccati... Alza gli occhi e guarda lontano! In questo modo non perderai di vista la direzione e eviterai più facilmente il rischio di sbandare a destra, o a sinistra. C'è un'altra distanza che (ancora) ci può separare dal Regno di Dio; e questa sì, può rivelarsi, nostro malgrado, incolmabile: è la distanza che passa tra il parlare della salvezza e lavorarci realmente. "Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare!", recita un vecchio proverbio... Quante volte ne abbiamo parlato! Non è così difficile sapere che cosa bisogna fare, basta studiare, basta ragionarci su,... magari lo si può anche insegnare, predicare; ma decidere di farlo davvero, della serie: più fatti e meno parole! questa è la vera sfida che Gesù lancia indirettamente allo scriba, che voleva farsi bello esaltando la saggezza del Nazareno. Per questo, nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo; con questa risposta, il figlio del falegname chiude la bocca ai maestri d'Israele: il tempo della scuola - imparare, ma anche sdottorare - è finito! ora si passa alla fase operativa. Alla teoria deve seguire la prassi, all'ortodossia, l'ortoprassi! Se la teoria, lo studio matto e disperatissimo non suscitano il desiderio di mettere in pratica quanto abbiamo studiato, gli anni trascorsi a consumarci i gomiti sui libri saranno passati invano! Ed ora esaminiamo nel dettaglio la risposta del Signore alla domanda dello scriba: "amarsi un po'", cantava Lucio Battisti; ebbene a Dio "un po'"non basta, Dio vuole tutto! vuole essere amato con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutta la forza! Come già altre volte messo in luce, a Gesù non piacciono le mezze misure, il Figlio di Dio detesta la mediocrità... Potremmo obbiettare che dare tutto a Dio, significa non avere più niente da dare agli altri. Neppure un monaco, neppure una monaca sono in grado di amare Dio in modo così esclusivo. Ma se anche lo fossero, amare Dio con tutto sé stessi e non amare il prossimo sarebbe un'illusione, peggio, un grave errore. In questo ragionamento, in questa convinzione c'è qualcosa che non va: è l'unità di misura di ordine quantitativo; ragion per cui, l'amore per Dio sarebbe inversamente proporzionale rispetto a quello per/tra gli uomini. Il segreto del vero amore risiede proprio nella qualità del sentimento, non nella quantità: amare Dio significa amare gli uomini in un certo modo, e viceversa. L'espressione corretta è: "Amare il prossimo in Dio, e amare Dio nel prossimo": non può esserci separazione tra i due oggetti - Dio e il prossimo -. Non ci può essere distinzione, tantomeno separazione tra amore per sé e amore per gli altri - Dio e il prossimo -: al contrario, e questo è una novità assoluta rispetto all'AT, l'unità di misura dell'amore per gli altri è l'amore per sé, e viceversa. Quando si ama troppo sé stessi, più sé che il prossimo, si sfora nel narcisismo autoreferenziale: è molto facile caderci, più facile di quanto non si creda! Basterebbe un esame di coscienza severo sulle motivazioni profonde che ci muovono a operare il bene: fare il bene agli altri, o celebrare noi stessi, i nostri talenti, nella speranza di essere riconosciuti buoni? Già, essere riconosciuti buoni... Gesù avrebbe una cosa da dire in proposito, anzi, due: ricordate quel giovane ricco che lo aveva chiamato "Maestro buono"; Gesù lo corresse: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo" (Mt 10,18); e in un altro passo, mettendo in guardia coloro che presumono (troppo) di sé: "...E quando avrete fatto tutto quello che vi era stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare." (Lc 17,10). Al tempo stesso non è possibile amare il prossimo come Dio comanda, se non abbiamo una sufficiente autostima: credo che tutti, almeno una volta abbiate incontrato persone incapaci di manifestare affetto per qualcuno, a motivo del fatto che non si erano mai sentite amate, e non si amavano... Sono cordiali, educati, corretti, civili col prossimo; ma l'amore è un'altra cosa, molto di più che essere cordiali, educati, corretti, civili! Per Gesù, l'amore può addirittura spingere un amico a morire per l'amico! C'è un dato che non dobbiamo mai dimenticare: il peccato dei nostri progenitori. Oggi se ne parla poco, non se ne parla quasi più,... anche perché è difficile spiegare come un neonato possa essere colpevole di un peccato quando in lui non c'è né piena avvertenza, né deliberato consenso. Ma tant'è... Ed anche dopo il Battesimo, il peccato originale lascia una traccia: l'egoismo. Non riusciremo mai a concepire e manifestare un atto d'amore per qualcuno, fosse anche Dio, che sia totalmente libero dall'egoismo, dal desiderio di possesso, dal calcolo di dare-avere; non riusciremo mai ad amare qualcuno, fosse anche Dio, in modo del tutto gratuito, senza aspettarci una risposta d'amore almeno pari al nostro... Work in progress... ci stiamo lavorando... Possiamo migliorare! C'è sempre un margine di miglioramento... |