Omelia (01-11-2021)
don Alberto Brignoli
I nostri “eroi”

Ogni terra e ogni popolo ha i suoi uomini illustri, i suoi "eroi". Per alcuni, sono i capostipiti che hanno dato vita a un popolo. Per altri, sono coloro che hanno scritto i loro nomi nelle pagine della storia di un popolo: chi dandogli una terra e un'organizzazione civile, chi liberandolo da una situazione di oppressione, chi dandogli splendore e prestigio di fronte ad altri popoli vicini. Sono comunque tutte persone i cui volti, i cui nomi e le cui gesta rimangono immortalati nella memoria di coloro che si sentono da essi in qualche modo rappresentati.
Tutti ci ricordiamo di loro: anche solo intitolando loro una piazza o una via, costruendo il loro monumento o collocando una targa in loro memoria sulla facciata di qualche edificio di comune utilità, si ha sempre l'opportunità di sentire la loro presenza e il loro sguardo su di noi, che balbettando cerchiamo di imitarne le gesta o anche solo di non infangarne l'opera e il pensiero, mantenendo atteggiamenti in sintonia con i valori che essi ci hanno tramandato.
E poi ci sono le loro commemorazioni ufficiali, spesso coincidenti con le loro date di nascita o di morte, o con il giorno in cui hanno compiute le epiche gesta per le quali il popolo li ricorda. Sono tutti modi, alcuni più sentiti, altri meno, per sentirli sempre presenti in mezzo a noi nonostante fisicamente non lo siano più, magari già da moltissimo tempo.
Oggi quel popolo così particolare che è il popolo dei figli di Dio, la Chiesa, fa memoria dei suoi "uomini illustri", dei suoi "eroi". E lo fa in una maniera del tutto particolare, perché oggi li ricorda tutti insieme, anche quelli a cui non dedica monumenti, piazze e opere, perché di loro sa poco o nulla.
E pure questo è particolare: gli eroi del popolo di Dio spesso non hanno fatto nulla di eclatante, nulla degno di memoria, nulla che autorizzi qualcuno a dedicare loro alcun tipo di struttura. Nulla per il quale vale la pena che i loro nomi possano essere scritti in alcun libro storico o commemorativo. Anzi: nella stragrande maggioranza dei casi sono certo che essi non apprezzerebbero certe commemorazioni o certe celebrazioni fatte di esaltanti incensazioni, di corone d'alloro o di tributi onorifici, perché una delle loro caratteristiche principali era l'umiltà, fatta di silenzi, di nascondimenti, di una marginalità che non faceva certo parlare di sé.
Mi riferisco a quegli eroi del popolo di Dio che su un calendario o tra le pagine di un libro non finiranno mai: eppure, eroi lo sono, lo sono stati, e lo saranno sempre, e apparterranno a distinte tribù e diversi popoli della faccia della terra, in ogni epoca. Questo l'aveva già capito l'autore del libro dell'Apocalisse, che moltiplica il numero delle tribù d'Israele per il numero degli Apostoli, e poi lo moltiplica con il numero biblico dell'eternità, per arrivare ad indicare nei 144.000 coloro che hanno servito Dio non attraverso gesta epiche come tutti gli altri eroi, ma attraverso una "grande tribolazione", ovvero quella della durezza dei sacrifici della vita di ogni giorno. E allora, qui, in questa schiera di eroi della Chiesa ci mettiamo tutti coloro che di eroico, di epico e di esaltante nella vita non hanno proprio compiuto nulla, ma che noi veneriamo come "santi" perché "santi" lo sono sul serio.
Ci mettiamo papà e mamme che sono stati senz'altro capostipiti, ma di umili famiglie di lavoratori, che non saranno mai ricordati per delle grandi opere, perché non hanno avuto, non hanno e non avranno mai il tempo di fare altro se non di mantenere i loro figli, di dar loro un'educazione che essi in molti casi non hanno potuto avere, e di insegnare loro a fare altrettanto, magari per dover poi subire, già anziani, l'ingratitudine degli stessi figli, l'oblio dei nipoti, o peggio ancora la vergogna di discendenti scialacquatori incapaci di dar valore ai loro sacrifici.
Ma ci mettiamo anche uomini e donne che capostipiti non lo sono stati, non lo sono, e magari non lo saranno mai, perché la fecondità della vita li ha solo sfiorati o addirittura li ha presi in giro, dando loro l'illusione di diventare padri e madri, o magari diventando genitori di figli che la morte, ingiusta e cinica, ha portato via da questo mondo prima di loro: eroi, perché ostinati nonostante tutto, a credere nel Dio della vita, e magari anche a sorridere a lui e a coloro che lungo la vita hanno adottato - amici e non - come figli loro.
Ci mettiamo donne e uomini che hanno lavorato, lavorano, e lavoreranno per il bene comune senza chiedere nulla in cambio, senza ricompensa, senza essere commemorati da nessuno, senza condecorazioni, senza diplomi, targhe o medaglie, i cui nomi non verranno mai scritti negli annali della storia, perché la storia spesso ricorda solo i nomi di coloro che l'hanno costruita avidamente e perennemente seduti sugli scranni del potere e poi, con le loro immorali incoerenze, l'hanno tramandata, la tramandano e la tramanderanno alle giovani generazioni solo come un'opportunità di riuscita e di sopruso sugli altri.
Oggi il popolo di Dio celebra questi eroi "altri". E ce li indica come esempi. Forse loro se la prenderebbero un po', ci rimarrebbero male, non capirebbero, sbotterebbero un po', e magari con qualche espressione un po' dialettale, ci farebbero avvertire il loro dissenso per questa celebrazione.
A tutti loro, vivi e defunti, così simili a Dio, quest'oggi va il canto che gli Angeli dell'Apocalisse innalzano al Dio della Vita: "Lode, gloria, sapienza, azione di grazia, onore, potenza e forza, lungo tutti i secoli". E che così, sia.