Omelia (31-10-2021)
padre Gian Franco Scarpitta
L'amore ha i suoi comandamenti

"Se sulla terra prevalesse l'amore, tutte le leggi sarebbero superflue", diceva Aristotele, che già individuava il criterio ideale per instaurare una pacifica convivenza umana e civile. L'unica vera legge è quella che ci dischiude alla libertà e che ci rende sereni in ordine a noi stessi e verso gli altri; quella che interpella direttamente la coscienza e la volontà che si ponga obiettivi coerenti per se stessa e per gli altri, ma soprattutto la legge per la quale non posso non considerare l'altro come un altro me stesso, i suoi diritti come i miei stessi diritti, la sua dignità come identica al rispetto mio personale. La legge cioè dell'amore, essendoci la quale, come sosteneva S. Agostino, si può fare quel che si vuole: "Ama e dopo fai tutto quello che vuoi".
L'amore è la "pienezza della legge", ammonisce Paolo, il quale soggiunge: "Chi ama l'altro ha adempito la legge. Infatti ‘Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso"(Rm 13, 8 - 10) e se occorre che estinguiamo ogni nostro debito nei confronti degli altri, unica pendenza inestinguibile in qualsiasi tempo sarà sempre quella dell'amore vicendevole, gli uni verso gli altri. E' fuori da ogni dubbio allora che chi esercita l'amore disinteressato, umile e sincero adempie tutta la legge, ossia resta fedele a tutti i comandamenti divini.
Possiamo aggiungere tranquillamente che chi vive dell'amore soddisfa le prescrizioni di qualsiasi legislazione, anche politica e amministrativa e a prescindere da ogni impostazione etica e religiosa perché è altrettanto indubbio che "l'amore non ha mai fatto male a nessuno" (Rm 13, 10) e la sua prerogativa fondamentale è quella di costruire laddove vendetta e prevaricazione hanno distrutto.
Giovanni precisa però che la necessità di amarci gli uni gli altri deriva dal fatto che "l'amore è da Dio"(1Gv 4, 7), perché in effetti, se è vero che è impossibile amare gli altri senza essere amati noi stessi, è inverosimile nell'ottica della fede amare il prossimo senza aver avuto coscienza che l'amore deriva da Dio, il quale ha preso lui per primo l'iniziativa nei confronti dell'uomo e nella sua rivelazione non ha smentito di volersi concedere interamente a noi. Dio ci ama, amiamoci dunque gli uni gli altri.
Il Comandamento del Deuteronomio suggerisce di amare innanzitutto Dio "con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze", indicando in questo non un optional o un suggerimento, ma un vero comandamento, che scaturisce sia dalla trascendenza divina in quanto tale, sia dalla motivazione fondamentale per cui Dio ci ha amati per primo, sia ancora dalla natura stessa di Israele di essere popolo: proprio in quanto comunità di persone in cammino alla riscoperta di se stessi gli Israeliti sono invitati ad amare Dio e se vengono meno a questo precetto vengono meno a se stessi in quanto popolo, gente eletta.
Neppure per Gesù l'amore verso il Signore rappresenta una novità o un'aggiunta alle prescrizioni. E' scontato anche per lui che ogni Israelita debba esternare venerazione e schietto amore verso chi lo ha creato e redento. Se poi è vero che il popolo trova la sua forza e sua vitalità nel Dio d'Israele, è altrettanto vero che è indispensabile anche per la propria sussistenza che egli ami il suo Signore.
E neppure, fondamentalmente, costituisce novità l'invito ad amare il prossimo: esso è già presente nell'Antico Testamento. Gesù però allarga l'orizzonte di "prossimo" estendendolo anche ai nemici e soprattutto esortando ciascuno di noi a farsi "prossimo" dell'altro, a ravvicinare cioè tutte le distanze e a superare divergenze e pregiudizi sociali. Amare Dio con tutto il proprio cuore, mente e forze equivale ad prediligerlo in tutta la nostra individualità e in tutta la nostra persona; donare interamente noi stessi in questa relazione mutua con Dio. Ma con la stessa intensità occorre che ci si disponga anche verso il prossimo, cioè anche verso il nemico, il forestiero e l'estraneo, affinché non si smentisca la portata della fede con la quale ci relazioniamo a Dio.
A ragione allora Giovanni afferma che chi dice di amare Dio mentre odia il proprio fratello è un mentitore (1Gv 4, 19 e ss); La verità che Dio è si riversa in tutte le sue creature e particolarmente in coloro che Egli ci pone accanto; nel prossimo che io constato interpreto nella fede la realtà della presenza di Dio, ma se ometto l'amore verso il mio fratello ometto, anzi smentisco, la mia fede. E divengo ostile alla verità, bugiardo e meschino. Chi afferma l'amore per Dio e manca di amare il fratello è insincero verso la verità assoluta che è appunto Dio, manca di verità nei confronti degli altri e viene meno anche a se stesso, perché misconoscere Dio nel fratello che si odia è anche negare la propria umanità. San Giacomo, anche se in occasioni diverse, afferma che chi si pone all'ascolto della Parola di Dio e non la mette in pratica quale ascoltatore smemorato è paragonabile a uno che si guarda davanti a uno specchio e poi se ne va, dimenticandosi com'era (Gc 1, 23 - 24); non solamente usa cioè presunzione nei riguardi di Dio e indifferenza verso gli altri, ma trascura perfino la propria immagine, la propria fisionomia e manca di provvedere a se stesso. Come non vedere infatti il proprio riflesso nella Parola di Amore che Dio ci comunica, il cui riverbero si ripercuote nelle persone che incontriamo sul nostro cammino, soprattutto nei poveri e nei sofferenti? Pena il venir meno a noi stessi, occorre che amiamo sinceramente Dio nel fare la sua volontà nel quotidiano, quindi osservando la legge universale dell'amore
La quale è il vero costitutivo della nostra religione nonché vera esternazione del nostro Credo, che viene di fatto smentito quando ridotto a solo culto o pratica devozionale.