Omelia (07-11-2021)
Paolo Curtaz
Il discepolo

Chi è il discepolo capace di seguire Gesù riconosciuto Cristo?
Chi è in grado, come il Maestro, di testimoniare di essere amato dal Padre.
E, per farlo, è disposto a morire, a prendere la croce.
Non il giovane ricco, troppo legato.
Né gli apostoli, tutti intenti a farsi le scarpe per un po' di (vana) gloria.
Ma Bartimeo, il cieco mendicante che smette di stare ai margini della strada e quella strada la percorre dopo avere urlato tutta la sua disperazione, dopo essere stato amato e guarito.
Ecco il vero discepolo: colui che si scopre amato e guarito e che, perciò, può dire a tutte le persone ferite che incontra: coraggio, alzati, ti chiama.
Ti chiama, si.

Dio ti chiama perché ti ama. Ti chiama a scoprire quanto ha intenzione di compiere anche grazie a te. Ti chiama a vederci chiaro, infine.
E la nostra Chiesa, ora, è chiamata anch'essa. Da Dio, dalla storia, dagli eventi, a rileggere il proprio stile di vita, la propria prassi pastorale, per vedere se e quanto ancora dice di Dio, quanto, di ciò che facciamo è legato all'abitudine, alla pigrizia, e quanto, invece, è fuoco bruciante.
Non gli strumenti, i mezzi, l'organizzazione.
Non il culto, la devozione, l'ostentazione.
Ma il sincero dono di sé raccontano di Dio.
A partire da quanto ha scoperto lo scriba, che lo scoprirsi amati, l'amare Dio, sì, i fratelli, è il cuore di ogni fede.
Come sa bene la povera vedova additata ad esempio dal Signore nell'irritante Vangelo di oggi.

Scribi

Gli scribi ci cui parla Gesù questa domenica sono ben diversi da quello della ricerca della verità che abbiamo incontrato domenica scorsa. Sono uomini religiosi, autorevoli, che hanno fatto della loro fede, della loro scelta, del loro ruolo sociale un idolo.

Un tragico idolo religioso.
Gli scribi sono descritti da Gesù come persone vanitose e che fanno del loro servizio una smisurata ricerca di potere. Amano indossare una divisa per farsi riconoscere, amano il rispetto timoroso dei poveri cittadini, amano essere considerati come dell'autorità, sono sempre presenti agli eventi sociali, godono della loro posizione e non perdono l'occasione per mettersi in mostra.

La loro fede è diventata occasione di prestigio e di ostentazione. Vivono di rendita sul rispetto del popolo, godono di una fama assolutamente immeritata.
Gesù entra nel dettaglio, così, per fare il simpatico.
Gli scribi divorano i denari delle vedove, dice.
Se la vedovanza già rappresenta uno stato di grande dolore, di lacerazione interiore, di frantumazione di affetti, restare vedove. al tempo di Gesù, era una vera e propria tragedia.

Senza servizi sociali, senza appoggio dalla famiglia, spesso la vedova si vedeva costretta, per vivere, a mendicare o, peggio, a prostituirsi. La condizione della vedova, perciò, era la peggiore che si potesse immaginare: sola, senza sussistenza economica, disprezzata perché mendicante o prostituta.

Ma ricercata dagli scribi che riuscivano a ricevere donazioni od elemosine da donne rimaste sole e plagiate in nome di Dio. La bramosia ha accecato il loro cuore, come rischia di accecare il nostro.

Succede, dobbiamo ammetterlo.
Succede anche nelle nostre parrocchie, nelle nostre Diocesi, nella nostra Chiesa, in me che scrivo.
Tutti santi, in teoria, e mossi da grandi principi.
E, almeno a parole, liberi dall'ostentazione, dall'apparenza dalla gloria. In teoria.
Poi si litiga, santamente, per avere un ruolo o quando questo ci viene tolto.

Ragioniamo secondo la logica degli uomini.
Cediamo alle tenebre come testimoniato dalla orribile questione della pedofilia.
Lontani da quanto potremmo essere e dovremmo vivere, a volte.
E si vede benissimo.


Una vedova

Come uscirne?
Getta nel cuore di Dio l'essenziale, non il superfluo.
Non dedicargli ritagli di tempo, o qualche ora di pia devozione domenicale, o un po' di moralismo.
Dagli il cuore.
Tutto ciò che sei.
Anche quello che fingi di non essere.
Lui vuole te, non la tua santa immagine.
Lui ti ama per quello che sei, a prescindere.
Perciò puoi camniare.

La vedova del Vangelo getta nel tesoro del Tempio qualche euro, mentre i notabili della città e i devoti si spintonano per far notare le somme considerevoli che versano nelle casse del Tempio appena ricostruito.
Gesù loda la generosità di questa donna che ha dato il suo necessario come offerta a Dio, e ignora le generose offerte pubblicate e titoli cubitali del milionario di turno.

Ci sono momenti nella vita in cui perdiamo tutto: salute, lavoro, una persona cara (non necessariamente perché muore), voglia di vivere.

Momenti faticosi, terribili, in cui abbiamo l'impressione di non sopravvivere.

Come la vedova di Elia, trasciniamo un passo dopo l'altro, tenuti in vita da qualche affetto (il figlio per la vedova) ma rassegnati a veder consumare ogni forza, ogni energia.

Quante persone in questo stato ho conosciuto nella mia vita!

La vedova del Vangelo - ingenua - mette quel poco che ha per il Tempio, per Dio.

Non sa dove finiranno i soldi, forse saranno disprezzati dal sacrestano del Tempio, forse serviranno a comperare detersivo per i pavimenti... poco importa, il suo gesto è assoluto, profetico, colmo di una tenerezza infinita.
Dona quel poco che ha per Dio.
L'elemosina che fa è del suo cuore, di ciò che è, perché non ha nulla.
Si mette in gioco, ci sta, non delega ad altri, nemmeno ai soldi che potrebbe forse avere.

Alla fine di quest'anno liturgico allora, Marco e, dietro di lui Pietro, ci dice ciò che ha capito nel seguire Gesù: la vita è dono.
Ricevuto e speso.
Accolto e donato.
Perché è l'amore che fa girare il mondo.
Siamo quel che doniamo. E doniamo quando ci scopriamo amati.
Ecco il vero discepolo.