Omelia (21-11-2021)
don Mario Simula
Corona e grembiule

Un grumo di cellule sta per dare vita al Figlio dell'Altissimo. Avrà il trono. Regnerà. Il suo regno non avrà fine.

Maria di Nazareth, piccola adolescente, in una casa di fango e di roccia, è interprete dell'incontro sempre arcano tra regno e servizio. Tra un capo da onorare e piedi da lavare.

Il nostro Re appare maestoso ed è carne sconosciuta e fragile in un grembo di donna.

E' Re per dare respiro e vita ad un regno di sacerdoti santificati nell'acqua. E' trafitto come un condannato, eppure rimane per sempre sulla breccia della storia come Amore.

La potenza di chi lo condanna, si piega davanti ad un Re flagellato e sanguinante.
Il condannato grida, con voce ferma, la sua dignità e il suo vanto: "Tu l'hai detto, io sono Re".

Prendo in prestito gli occhi e il cuore di tutti coloro che hanno incontrato questo "Figlio dell'Uomo" e ne sono rimasti folgorati.

Maria la donna del dilemma. Lo sente crescere nel suo utero di donna vergine. Coglie i suoi respiri respirati col suo, e ogni giorno e mille volte al giorno si domanda: "Sarà re?". Anche quando gli regala la prima poppata si domanda: "Sarà Re?". Anche scappando dalla morte verso l'Egitto, si domanda, ancora una volta: "Sarà Re?".

Vorrei gli occhi di quella Madre che conosce la risposta e la custodisce nel suo cuore.

Lo sguardo di Giuseppe è un atto vivente di fede: in realtà attraverso di lui quel Bambino è della stirpe regale di Davide.

Gesù è Re. Umile, va a scuola nella sinagoga per apprendere la Sapienza delle Scritture. Si inoltra per le vie della Palestina ad annunciare un regno di Verità e di Vita. Un regno che si raggiunge attraverso Gesù: la Via.

Il suo sguardo è irresistibile quando sfida l'arroganza degli avversari. E' tenero e gonfio di lacrime quando contempla la Città di Dio, resistente all'Amore. E' un racconto di risurrezione quando si commuove nelle viscere davanti alla tomba dell'amico Lazzaro.

Gesù Re di una donna adultera e schiacciata dal disprezzo, aperta tuttavia a ricevere le sorgenti limpide del perdono. Re di quei lebbrosi inavvicinabili che ama toccare con mani d'uomo, purissime e risanatrici.

La sua corona è sopra i ciechi di strada, mendicanti per necessità, capaci tuttavia di gridare verso di Lui che può ridare luce agli occhi e all'anima.

"Domina" sulle folle che lo seguono. Sono pecore senza pastore, affamate di pane e di Parola di vita. A questo popolo di Dio, Gesù il Re dona la compassione di un cuore dilatato fino alle ultime periferie del dolore.

Peccatori e prostitute si lasciano conquistare da uno sguardo che non va mai oltre le ginocchia, per non mettere in imbarazzo coloro che accoglie e stringe a sé con la limpidezza di Dio.

E quando arriva l'Ora, il Re, senza deporre la corona del servizio, indossa il grembiule della regalità curva fino a terra. Lava i piedi dei suoi amici, sempre esitanti tra fedeltà e infedeltà.

Sono piedi sporchi di polvere, ingrossati dai calli, orientati e disorientati allo stesso tempo. Sono i nostri piedi di discepoli di un Re che ci riveste di regalità per inviarci a servire. Senza bisaccia, né denaro, né pane. Un unico paio di sandali. Devono bastare per una missione che porta alla crocifissione.

I piedi di Pietro in bilico tra l'amare e il voler bene, frammezzati da incredulità e da paure. I piedi di Giuda in fuga, nonostante quel tocco tenerissimo che li accarezza e li unge con l'olio di una parola misteriosa: "Giuda, amico mio".

I piedi di Maria di Magdala sempre veloci come l'amore.

I piedi della ciurma che ha la forza, perfida o inconsapevole, di arrivare ai piedi della croce per urlare rabbia e bisogno di un Re col grembiule.

Quel grembiule cinge i fianchi di Gesù, il Re. Gli fa da corona.

In un gesto di estremo amore, il maestro e Signore, Gesù di Nazareth, Re del cosmo e della storia, depone quel lino. Mi chiama e lo lega ai miei fianchi.

Il segno, il gesto, le mani stanche e ferme. Lo sguardo basso sulla mia povertà per dirmi: "Io ho lavato i piedi a te. Io il Re. Tu laverai i piedi di ogni altro elevato alla dignità di un sacerdozio regale, all'onore appartenente a colui che serve".

Prete che annaspa. Laico che vacilla. Popolo di Dio sbandato nella nebbia. Uomo e donna di sempre.

Il regno di Gesù è questo. La sua regalità è il grembiule. La sua grandezza è l'umiltà della terra.


Di null'altro ci possiamo vantare se non del trono regale della croce. Del "delinquente appeso" che si lascia squarciare il cuore. Sarà di nuovo sangue e acqua. Una sorgente inestinguibile di amore che conosce soltanto piedi da servire.


Gesù, contemplando la tua regalità che si impasta col servizio, mi domando se c'è posto nella mia vita per una regalità di potere.

Voglio essere grande? Devo diventare piccolo. Voglio essere il primo? Devo servire gli ultimi.

Gesù, quando tu irrompi nella mia esistenza comprendo la tua regalità del grembiule. Toccare i pezzenti. Diventare amico dei peccatori e delle prostitute che da te imparano ad amare. Essere compagno di strada di dodici discepoli ancora incerti nel riconoscerti. Salire su un legno di infamia per spendere tutte le risorse dell'Amore.

Gesù, chi sono io? Un prete seduto sulla sedia buona e in vista? Oppure il prete rannicchiato e umile, in fondo alla navata, che si batte il petto per apprendere la lezione della tua regalità che serve?

Gesù, credimi, non riesco a non amarti. Ti amo male, ti amo a giorni alterni, ti amo con riserva. Eppure non riesco a non amarti.

So che dirtelo significa per me annientare la distanza tra corona e grembiule. Nella tua persona sono un tutt'uno di tenerezza.

Gesù, fino a questo momento ho tenuto gli occhi bassi per non osare troppo nei confronti delle tue attenzioni.

Adesso inizio a sollevarli, lentamente. Il tuo volto è trasfigurato dalla Luce. Il sangue che lo attraversa ne fa risaltare i tratti inconfondibili della dolcezza.

Gesù, tu rimani il Re incomprensibile per me. Un giorno comprenderò. Mi arriverà, in quel giorno, il tuo canto di amore, simile ad una dichiarazione appassionata.

"Vieni, fratello benedetto, nel Regno. Hai finalmente capito chi erano i sudditi che comandavano su di me e sul mio cuore: il primo eri tu, affamato e assetato di me. il primo era la gente che bussava alla tua porta per ricevere tenerezza e cura. Il primo era ogni schiavo, cercatore di libertà e di sguardi. Il primo era la comunità smarrita che mettevi insieme pezzo per pezzo. Il primo era ogni invisibile nonostante i suoi occhi meravigliosi. Il primo era ogni mendicante di Dio scritto sulle tue mani. Mani di Re. Mani di Servitore.

Vieni, io sono il Re. Per accoglierti indosso il grembiule. Non conosco altro abito regale se non questo, indossato dagli schiavi per amore. Vieni!".

Vengo, Signore Gesù!