Omelia (10-03-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Matteo 25,31-46 A proposito di questo brano si pongono numerosi problemi di interpretazione. Chi sono le genti adunate per essere collocate a destra e a sinistra? Sono tutti i popoli, senza distinzione, o solo i cristiani? Chi designa l'espressione "questi miei fratelli più piccoli": qualsiasi uomo bisognoso o solo i discepoli e specialmente i predicatori itineranti del vangelo? Questa parabola riprende il tema della venuta del Figlio dell'uomo. L'apparato glorioso del giudizio divino, che ricorda Zc 14,5 e il raduno di tutte le genti (cfr Mt 24,9.14; 28,19) davanti a Cristo, ci presenta un avvenimento importante: ogni uomo si trova alla presenza del re che dà il possesso dell'eredità del regno ai benedetti del Padre suo. Il giudizio pronunciato su ciascuno sarà per tutti motivo di stupore: nessuno aveva coscienza di aver accolto o rifiutato il Signore stesso nei "piccoli". "Questi miei fratelli più piccoli" sono i discepoli di Gesù: chi accoglie loro, accoglie Cristo stesso (cfr Mt 10,40-42; 12,48-50; 18,6.10.14; 28,10). Il giudizio decisivo pare così basarsi sull'accoglienza degli inviati di Cristo e, attraverso di loro, sull'accoglienza della sua stessa persona e del suo messaggio: nelle opere di misericordia e nella sollecitudine portata ai discepoli sofferenti si raggiunge Gesù stesso che si è fatto "piccolo", che è venuto per servire e per dare la vita in riscatto per tutti (cfr Mt 20,28). Egli si identifica totalmente con il suo inviato sofferente e "perseguitato per la giustizia" (cfr Mt 5,10; 10,17-18). Ma la parabola va certamente oltre. Gesù stesso si è chinato sui poveri e i sofferenti perché vedeva in essi dei discepoli in speranza e dei piccoli in crescita. Così l'apparente indeterminazione dell'espressione "questi miei fratelli più piccoli" vuol certamente designare tutti i bisognosi di amore concreto e fattivo, ossia tutti. Il messaggio di questo brano può essere riassunto in due parole: Dio nel fratello. I "benedetti" ricevono il regno perché hanno praticato la misericordia. Le opere di misericordia sono la porta che introduce nell'eternità. Il vangelo annuncia che la misericordia è sempre praticata nei confronti di Cristo. Poiché la misericordia è il criterio del giudizio, il testo diventa un imperativo pressante rivolto a tutti perché pratichino la misericordia. Il brano vuole incitare all'azione. Per i cristiani la misericordia praticata o rifiutata è la prova certa della loro fede. A tutti Gesù ripete il detto di Os 6, 6: "Misericordia io voglio e non sacrificio" (cfr Mt 9,13; 12,7). La beatitudine dei misericordiosi che otterranno misericordia costituisce un commento alla prima parte di questo brano. La parabola del servo senza misericordia (cfr Mt 18,21ss.) può illustrare la parte negativa di questo brano. Il giudizio di tutti avviene sulla base delle opere di misericordia. La fraternità è il senso per il quale è stato creato il mondo. Il mondo è salvo quando cerca e vive la fraternità. Solo chi comprende le esigenze del prossimo, comprende le esigenze di Gesù. La comunione umana, in particolare la comunione con i più bisognosi, ha un senso divino che la rimanda al di là di se stessa. Gli uomini e le donne sono immagini viventi del Dio della vita. San Clemente d'Alessandria ha scritto: "Quando vedi il tuo fratello, vedi il tuo Dio". E' l'uomo che decide liberamente per la vita eterna o per il fuoco eterno. Questa decisione non è fatta a parole, ma con le opere di misericordia verso Cristo che si identifica con i bisognosi. E' nella vita presente che decidiamo per Cristo o contro Cristo. E questa scelta si manifesta nell'amore operoso per il prossimo o nel rifiuto della nostra misericordia verso i miseri. C'è una sola via in cui tutti gli uomini si ritrovano uguali e discepoli di Cristo: quella delle buone opere. |