Omelia (21-11-2021) |
diac. Vito Calella |
In Cristo Re siamo regno di sacerdoti per la gloria di Dio Padre Gesù non è "Re" individualmente Siamo abituati a pensare a Gesù Cristo, Re dell'Universo, come una figura individuale. Le opere d'arte della pittura antica e contemporanea possono rafforzare in noi l'immaginazione di Cristo Re, simile ai re della storia di questo mondo, con tanto di corona sul capo, che ne esalta la gloria. Ma non è così. Innanzitutto, Gesù Cristo è eternamente "uno" con il Padre mediante l'agire unificante dello Spirito Santo. Nel Vangelo di Giovanni In due passaggi Gesù afferma: «Io e il Padre siamo uno» (Gv 10,30); «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9b). Potessimo rimanere a contemplare la comunione eterna di rispetto del Padre con il Figlio. La gratuità di questo amore, che unisce eternamente il Padre e il Figlio, trabocca nell'immensa creatività del dono di tutte le creature dell'universo. La gratuità dell'amore divino, che unisce il Padre e il Figlio, valorizza la nostra dignità di figli adottivi. Siamo amati dal Padre, lo siamo per Cristo, con Cristo e in Cristo, che è morto in croce ed è stato risuscitato per farci riscoprire la bellezza della nostra filiazione divina (cfr Gal 4,4-7 parallelo a Rm 8 ,14-15). Noi esseri umani siamo stati creati «a immagine e somiglianza di Dio» (cf. Gn 1,27) e, nonostante i limiti e la fragilità della nostra costituzione di creature, siamo scelti per ospitare in noi la forza trasformatrice, liberatrice, santificante e vivificante dello Spirito Santo, che ci unisce nel dinamismo della comunione trinitaria. Questa è la nostra gloria: poter custodire in noi la gratuità dell'amore divino, che unisce eternamente il Padre al Figlio, così come Gesù ha parlato nella sua preghiera al Padre, prima di affrontare la sua passione e morte in croce come Re Messia: «Ho dato loro la gloria che tu mi hai dato, perché siano "uno" come noi siamo "uno"» (Gv 17,22). Gesù Cristo è Re in comunione con il Padre nello Spirito Santo. Attraverso la stessa azione unificante dello Spirito Santo «effuso nei nostri cuori» (Rm 5,5), Gesù Cristo è Re in comunione con tutti noi che abbiamo scelto di centrare la nostra vita intorno all'evento della sua morte e risurrezione. Forse il modo migliore per rappresentare Gesù Cristo Re è il mosaico, fatto di migliaia di piccole pietre colorate, pazientemente poste una accanto all'altra, ognuna al suo posto, ognuna importante perché ci sia una visione d'insieme dell'intera opera d'arte. Ogni tesserina del mosaico rappresenta uno di noi; insieme siamo corpo di Cristo nel mondo. Gesù Cristo non è Re da solo, ha bisogno della nostra disponibilità a compartecipare, con tutto noi stessi, al mistero della sua morte e risurrezione. Vogliamo essere come l'apostolo Paolo che, scrivendo ai Galati, testimoniava: «Io vivo, ma non io: è Cristo che vive in me. La mia vita presente nella carne, io vivo nella fede, credendo nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20); oppure, scrivendo ai Filippesi, li esortava a fare la stessa esperienza di Cristo che ha svuotato se stesso, si è fatto servo come noi, si è umiliato obbedendo fino alla morte, e alla morte di croce; e per questo Dio Padre lo ha esaltato, gli ha dato il nome che è il più grande, perché tutti confessino che Lui è il Signore (cf. Fil 2,1-11). Poco prima aveva detto: «Per me, infatti, vivere è Cristo e morire è guadagno» (Fil 1,21). La festa di Cristo Re è dunque la festa della Santissima Trinità e nello stesso tempo è la festa di tutti noi, credenti, uniti per formare in questo mondo il corpo luminoso di Cristo risorto. Nell'inno della lettera agli Efesini, scritta dall'apostolo Paolo, possiamo lodare la Santissima Trinità e la centralità di Cristo, Re dell'Universo, cantando «il disegno divino del Padre di ricapitolare tutto in Cristo, tutto ciò che esiste in cielo e in terra» (Ef 1,10). Dalla risurrezione di Gesù, tutto è destinato ad avere Gesù Cristo come centro. Nel libro apocalittico di Daniele contempliamo la visione della relazione divina tra il «venerabile Anziano» e il «figlio dell'uomo» (Dn 7,9.13, purtroppo non presente nella prima lettura). Noi oggi, illuminati dalla rivelazione definitiva di Gesù, possiamo interpretare dicendo che l' «Anziano» rappresenta il Padre in comunione con il Figlio. Gesù, che si identificava in quel «figlio dell'uomo», nel momento in cui fu ucciso sulla croce e risuscitato con la potenza dello Spirito Santo, ricevette dal Padre «potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dn 7,14). Ora è interessante notare che alla fine del capitolo 7 del libro di Daniele, scopriamo che quel «figlio dell'uomo», che sembrava solo una figura individuale, si identifica anche con un popolo: «Il regno, la potenza e la grandezza che esiste sotto il cielo saranno consegnate al popolo santo dell'Altissimo. Il suo regno sarà un regno eterno e ogni autorità lo venererà e gli renderà obbedienza» (Dn 7,27). Nel libro di Daniele, l'identificazione del «figlio dell'uomo» con i «figli dell'Altissimo» indica la «verità» della testimonianza dei martiri, cioè della moltitudine di quegli ebrei che scelsero di morire e rimanere fedeli al giudaismo, avendo respinto l'imposizione del re greco Antioco IV Epifane, che voleva costringere tutti ad abbracciare la cultura e la religione dei greci. Nel Vangelo di Matteo Gesù, Re dell'Universo, il giudice che verrà a giudicare i vivi ei morti, si identifica con gli affamati, gli assetati, i nudi, i senza tetto, i malati, i carcerati; si identifica con tutti i poveri sofferenti (cf. Mt 25,31-46). La verità del suo regno in questo mondo si realizza nella quotidianità della storia umana attraverso «i poveri in spirito e i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno del Padre» (Mt 5.3.10). Nel libro dell'Apocalisse, la bella esaltazione di «Gesù Cristo, che è il Testimone fedele, il Primogenito dei morti, il Principe dei re della terra. [...] il Principio e la Fine (alfa e omega), Colui che è, che era e che deve venire, il Signore dell'Universo» (Ap 1,5a.8) è accompagnato dall'affermazione, simile al testo di 1Pt 2,4-10, dove si dice che Gesù Cristo, re dell'universo, morto e risorto, «ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,6a). Noi qui oggi, per Cristo, con Cristo e in Cristo, siamo un regno di sacerdoti per la gloria di Dio Padre.Cosa significa? Il regno di Gesù si realizza oggi nel mondo attraverso di noi, che siamo il suo popolo, se scegliamo di «essere dalla verità e ascoltare la sua voce» (Gv 18,37b). Gesù «è nato ed è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità» (Gv 18,37b). Qual è questa «verità» che rende il regno di Gesù diverso da tutti i regni e imperi di questo mondo? La «testimonianza della verità» è il sacerdozio di Gesù che coincide perfettamente con la sua diaconia, perché egli èvenuta nel mondo «non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). «Gesù è re» (Gv 18,37a): lo ha detto espressamente a Pilato, ma è re nel testimoniare la verità del suo manifestarsi al mondo come sacerdote servo, cioè come colui che rivela l'amore incondizionato e gratuito di Dio attraverso l'offerta del suo corpo, specialmente al momento della sua morte di croce. Siamo anche noi un regno di sacerdoti per Dio nostro Padre, come Gesù sacerdote servo! Con l'aiuto e la forza del suo Santo Spirito, rinnoviamo ogni giorno la nostra disponibilità a fare del nostro corpo uno strumento semplice e umile di perdono, di giustizia, di rispetto, per irradiare nel mondo la testimonianza della verità della gratuità dell'amore divino, che abita già dentro di noi. |