Omelia (21-11-2021) |
don Alberto Brignoli |
Che razza di Regno, il nostro Dio! Il Regno di Dio - o Regno dei Cieli - è uno dei concetti più ricorrenti nei Vangeli (ma già anche nell'Antico Testamento), e in particolare nella predicazione di Gesù, che più che parlarne in maniera diretta, con affermazioni dottrinali e definizioni dogmatiche, preferisce presentarlo alle folle in modo figurato, attraverso quello stile così particolare - caro a lui e ai discepoli che amavano ascoltarlo - che è il linguaggio delle Parabole. A volte, il Regno è comparato al mondo agricolo, dove c'è un seminatore che semina, un seme che cresce, un campo dove si trova inaspettatamente nascosto un tesoro o dove, altrettanto sorprendentemente, insieme al buon grano può crescere l'erba cattiva, la zizzania; altre volte, il Regno è parte del lavoro quotidiano, non solo di un agricoltore, ma anche di chi impasta la farina con il lievito per farne pane, di chi esce in mare per gettare le reti e raccogliere ogni tipo di pesci, di chi va in cerca di tesori o di perle preziose; altre volte ancora, invece, il Regno "accade" in una situazione particolare, come quella di chi lavora per un padrone che affida i suoi beni ai suoi servi e dopo tanto tempo vuole vedere il frutto del loro lavoro, oppure quella di un padrone che si impietosisce e condona i debiti a chi non riesce a pagarli, o che paga gli operai della sua vigna tutti allo stesso modo, magari creando qualche malumore tra i benpensanti, o che invece invita tutti al banchetto di nozze di suo figlio ma ottiene il rifiuto da parte degli invitati e allora fa entrare ogni tipo di persona immaginabile e possibile. Il Regno, nelle parabole di Gesù, è comunque sempre qualcosa che ha a che fare con la quotidianità, con le situazioni che si verificano nella vita di ogni giorno, con gli atteggiamenti che, di volta in volta, l'umanità assume nei confronti di un Dio che si fa storia nella storia di ogni uomo. Perché il Regno di Dio che Gesù annuncia è stato, è, e sarà sempre "storia", storia nella Storia, parte della storia dell'umanità. Non in quelle forme in cui spesso la storia ha voluto o ha preteso che si manifestasse, quando i cristiani hanno confuso il Regno di Dio con un regno terreno, con un Impero a cui hanno dato pure il nome di "Sacro", e nel nome del quale hanno combattuto guerre violente e hanno convertito con la forza uomini e donne di ogni lingua, razza e religione diverse da quella occidentale; e nemmeno in quella forma più recente e più "moderna" che ha cercato di far coincidere il Regno di Dio con la Chiesa, presenza regnante di Cristo sulla terra e in mezzo alla società nella quale solo la Chiesa avanzava la pretesa di definirsi "Societas perfecta" contrapposta - era il periodo, qui in Italia, della Questione Romana - a uno stato massonico, liberale, privo di valori e di punti di riferimento. Grazie a Dio, oggi più nessuno di noi cristiani (parlo quantomeno dei cristiani semplici, "della strada") ha l'ardire di far coincidere il Regno di Dio con la Chiesa o con qualsiasi altro regno terreno di ispirazione cristiana. Però, abbiamo ancora molto da imparare per scoprire il significato profondo della regalità di Cristo che celebriamo solennemente ogni anno, alla conclusione di un Anno Liturgico e prima di iniziarne uno nuovo con il cammino di Avvento. Che Cristo sia, per noi discepoli e credenti, Re dell'Universo e della Storia, non ci piove: lo crediamo fermamente, e ne avvertiamo la regalità e la sovranità sopra ogni cosa. Ma non dobbiamo lasciarci ingannare da una lettura in chiave trionfalistica, così come potremmo farla emergere anche dai testi della Liturgia della Parola di oggi, in particolare dalla prima e dalla seconda lettura, che utilizzano immagini ed espressioni tipiche della letteratura "apocalittica" o "escatologica". Tra le righe di queste letture, infatti, scorgiamo già elementi che ritroviamo poi nel dialogo tra Gesù e Pilato, dove il Maestro ci insegna il vero significato della sua regalità. Il profeta Daniele ci parla di uno che viene con le nubi del cielo, ma non è nulla di soprannaturale, bensì uno "simile a figlio dell'uomo", ovvero figlio dell'umanità; Giovanni, nell'Apocalisse, ci parla del "primogenito dei morti", "colui che ci ha liberati dai peccati a prezzo del suo sangue". Nella regalità di Gesù, allora, non c'è nulla di imperiale o di soprannaturale: c'è sì un'eternità, ma è fatta di umanità, di caducità, di sacrificio, di morte che conduce alla salvezza eterna. E il dialogo - descritto sempre da Giovanni - tra Pilato e Gesù ci fa comprendere come la regalità di Cristo non sia basata sul potere e sulla violenza, come farebbero i sudditi del suo Regno per difendere il loro Re se il Regno di Dio fosse un regno di questo mondo. È un Regno "nel mondo", ma non "del mondo"; è un Regno in cui è bandita la logica dell'appartenenza esclusiva a un popolo (giudeo o romano che esso sia) e viene inaugurata la cittadinanza universale, senza distinzione di razza, lingua, estrazione sociale e cultura; è un Regno in cui non si combatte per difendere ciò che si ha, ma ci si mette al servizio degli altri (anche dei nemici) per conquistare ciò che ancora non si è ottenuto, ovvero una pace universale e la fraternità tra i popoli; è un Regno in cui ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, e affermare la verità non perché "altri ci hanno parlato di lui", ed essere consapevoli che il Maestro ci dirà sempre "Tu lo dici, che io sono Re" per ricordarci che di fronte a lui non è possibile non prendere posizione; un Regno in cui il nostro Re si presenta di fronte ai potenti della terra con una corona in testa, certo, ma di spine intrecciate, con uno scettro in mano, sì, ma di canna di bambù, con un trono regale, che non può ovviamente mancare, ma sul quale non si sta seduti, bensì crocifissi. Crocifissi in compagnia di tutti i crocifissi della storia: vincenti e vittoriosi perché crocifissi. |