Omelia (28-11-2021)
fr. Massimo Rossi
Commento su Luca 21,25-28.34-36

Un nuovo anno è cominciato, almeno secondo il calendario liturgico; e non è un caso che l'anno liturgico abbia inizio con un tempo forte di attesa; la logica è stringente: ogni anno che comincia, riattiva le aspettative, e le aspettative suscitano nuovi entusiasmi: "Che cosa ci porterà l'anno che verrà? Qualcosa di buono? nuove sciagure?..". Beh, comunque sia, l'atteggiamento è l'attesa... Spero, non un'attesa passiva, come chi sta seduto in una sala d'aspetto, ma (un'attesa) attiva, vigilante, come chi, mentre aspetta, si dà da fare, perché ha intuito che l'accadere di qualcosa dipende anche da lui, da lei, da loro...
Vigilate! esorta san Paolo, scrivendo ai fratelli di Corinto (1Cor 16,13).
Vigilare è una componente fondamentale della fede; non con paura, ma con fiducia!

Avere fede significa accorgersi di una duplice presenza: quella di Dio e quella del mondo. Accorgersi di Dio, ma non del Dio metafisico, bensì del Padre di Gesù Cristo che è presente oggi nella comunità degli uomini e delle donne. Accorgersi del mondo, ma non del mondo in genere, men che meno del mondo virtuale, bensì del mondo che oggi si mostra ai nostri occhi, del mondo che quotidianamente incontriamo, del quale facciamo parte.
È vocazione comune di tutta la Chiesa e di ogni cristiano trasformare il tempo umano in tempo di salvezza, accettando di vivere alla luce della fede le sfide del presente: in particolare la (sfida della) modernità e (della) postmodernità.

Il Medioevo è tradizionalmente ritenuto l'epoca in cui il pensiero cristiano fu in grado di integrarsi meglio con la cultura.
L'Era moderna segnò il tramonto di questo sodalizio. Fu un bene? fu un male? No comment.
Superata la crisi del Rinascimento e dell'Illuminismo, quando la parola d'ordine sembrava essere "contrapposizione" tra fede e cultura, la Chiesa tentò di accogliere in modo costruttivo la sfida della modernità.
Il Vaticano II, così sensibile alle sfide della modernità e della postmodernità, ordinò a tutte le Famiglie religiose di ritornare alle proprie origini, per garantire un autentico rinnovamento.
L'epoca moderna ha prodotto una concezione di novità del tutto diversa, introducendo il concetto di rivoluzione. Non più ritorno delle origini, ma, al contrario, abbandono del passato e della tradizione. La Rivoluzione francese inaugura l'idea di novità senza tradizione; ecco la sfida alla Chiesa della modernità, e con essa, l'affermazione del primato del soggetto, la libertà individuale, l'autonomia della scienza dal controllo dell'autorità religiosa...

Con la postmodernità assistiamo al tramonto di alcuni miti della modernità: l'indiscussa fiducia nella ragione, nel progresso tecnico-scientifico, nello sfruttamento illimitato delle risorse naturali.
Mentre per la modernità, l'affermarsi del pluralismo poggiava ancora sul rispetto di un fondamento universale, necessario, non negoziabile: l'intelletto, la razionalità, la postmodernità compie il passo decisivo verso l'abbandono di ogni fondamento universale e necessario.
Il postmoderno concepisce la verità come un'entità discontinua, costantemente plasmata e riplasmata nel volgere del tempo.
Il mondo contemporaneo è sempre più segnato da questo relativismo, che spesso sfocia nel vuoto ideologico, nell'assenza di ogni senso e di ogni orientamento. Poiché non vi è alcuna formulazione che possa contenere ed esprimere tutta la verità, poiché non vi è nessun racconto che dia fondamento all'esistenza - come pretende di fare il Vangelo! -, il pensiero risulta inevitabilmente debole. Non c'è più nulla di solido, di stabile e definitivo, neppure le relazioni. Oggi si parla infatti di relazioni liquide (Bauman). Individualismo crescente e solitudine sono le conseguenze fatali.

La cultura postmoderna è il cimitero delle grandi illusioni. Essa decreta la morte di Dio, la morte dell'uomo, la morte della comunità, della ragione...
L'interesse è sempre più rivolto a ciò che è contingente, a ciò che appare. L'edonismo trionfa, complici i mass-media. Anche la filosofia si è pervertita: non fonda più l'agire dell'uomo, ma è fondata dall'agire. La filosofia del mercato canonizza a principio ontologico il cambiamento: niente dura, tutto di rinnova in nome del progresso tecnologico sempre più veloce e inclemente.

Il ricordo di una verità oggettiva e immutabile è ormai lontano da ogni possibile immaginazione, e quindi, irreale. In contrapposizione con la ricerca dell'universale, che ispirò filosofi e scienziati antichi e moderni - pensiamo alla Summa Theologiæ di Tommaso D'Aquino -, emerge il valore del particolare, del singolare - le specializzazioni sono sempre più specializzate, si è sempre più competenti di porzioni sempre più piccole dello scibile umano.

Noi cristiani abbiamo la pretesa di mostrare che esiste un'altra filosofia di vita, un diverso concetto del tempo, una nuova percezione della persona... La liturgia si pone come alternativa capace di smentire le convinzioni e le convenzioni sociali e individuali. La liturgia smaschera l'atteggiamento di rinuncia e di omologazione che la civiltà occidentale ha seminato, raccogliendone frutti abbondanti, specie tra i giovani...
Nella liturgia, il tempo sorprendentemente rallenta; il frammento ritrova una propria ragion d'essere in quanto integrato in un tutto organico, come le membra nel corpo; la solitudine dell'individuo è beneficamente insidiata e vinta dalla presenza sicura e vitale della comunità.
L'Eucaristia in particolare si propone come chiave d'accesso, come codice interpretativo di decifrazione della storia cristiana, cioè della storia dell'uomo che incontra il Dio della Rivelazione; questo incontro si è realizzato, nella pienezza dei tempi, nella persona di Gesù di Nazareth; e ogni domenica si può realizzare nella nostra persona e nella nostra comunità.
Buon Avvento a tutti!