Omelia (28-11-2021) |
don Giacomo Falco Brini |
Come un laccio o come un liberatore? Perché si celebra l'Avvento? Perché in questo speciale tempo liturgico ci ricordiamo, come credenti, che attendiamo fiduciosamente e operosamente la vita senza fine che ha già fatto irruzione nella storia. È una vita nuova, non come quella che dobbiamo lasciare con l'arrivo della morte, anche se quest'ultima ne è come il contenitore. Con l'incarnazione del Figlio di Dio il nostro destino è cambiato. Mentre camminiamo sulla terra nel tempo che ci è concesso, l'eterno che è in noi, se glielo permettiamo, si fa largo e ci fa vedere il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria (Lc 21,27). Infatti, c'è chi, all'incalzare degli sconvolgimenti umani, naturali e cosmici, soccombe per la paura di quanto accade. La sua attesa allora si manifesta come ansiosa angoscia di vivere (Lc 21,25-26). Coloro che invece vivono con il capo alzato, cioè con la testa sulle spalle e gli occhi puntati a scrutare i segni dei tempi (con l'aiuto dello Spirito), vedranno Dio venire in ogni fatto della propria e della altrui storia. Dove alcuni vedono solo giungere la fine del mondo, altri vedono arrivare la pienezza di un nuovo mondo che stanno già gustando. Tra questi due gruppi umani non c'è alcuna differenza, tranne che in un atteggiamento. Perché anche i credenti hanno le loro paure, anch'essi vivono le loro angosce, cadono come tutti e devono rialzarsi come tutti in quanto peccatori. È quell'apertura al dono della fede in Cristo che li fa sentire bisognosi di salvezza, cioè di una liberazione da tutto quanto si oppone alla crescita della vita nuova ricevuta in germe. Dunque i credenti non si chiudono davanti a tutto ciò che fa saltare in aria gli equilibri generali della vita su questa terra, tutti i suoi punti di riferimento rappresentati da sole, luna, stelle, terra e mare. I credenti vivono ogni crollo di ciò che rendeva (apparentemente) sicura la vita come l'approssimarsi della liberazione che sperano. Infatti per essi, l'unica realtà che rende sicura la propria vita è l'amore di Dio. Solo chi sta appoggiando la propria vita sulla roccia della sua parola, vede venire il Signore dentro gli eventi anche dolorosi e non rimane nel laccio della paura (Lc 21,28). Dunque Gesù invita a vivere di fede e a non seguire la paura. Affinché questo "modus vivendi" si rafforzi e diventi stabile, lascia un paio di raccomandazioni. 1) State attenti a voi stessi: cioè la salvezza si gioca nel badare a quanto accade nel proprio cuore, non a quanto accade negli altri. Devo badare al male che è in me: questo è il primo step per poter aiutare gli altri ad affrontare il loro male. Ciascuno è responsabile di se stesso, con Dio non funziona il meccanismo del capro espiatorio. E poi badare a quanto il mondo offre, perché non appesantisca il cuore. Altrimenti si vede arrivare il Signore non per quello che è (uno che mi libera), ma come uno che viene a portare un laccio che impiglia la vita nella paura e nella sfiducia. In realtà, quel giorno può giungere così perché è il discepolo che si fa impigliare da dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita (Lc 21,34-35). Vegliate in ogni momento pregando: c'è un legame profondo tra veglia, tempo e preghiera. Si veglia pregando e si prega vegliando, cioè dedicando tempo a Dio. E in questo modo, nel tempo, può crescere quell'attenzione a noi stessi richiesta. Nel tempo, lo Spirito può comunicarci la forza che libera dai lacci di questo mondo e fa superare la paura che gli incombenti e drammatici eventi generano. L'Avvento è il tempo prezioso per chiedere a Dio la grazia di ricollocare la preghiera a fondamento della propria vita. La preghiera coltivata con perseveranza è il segreto del discepolo che si conforma al suo Maestro; il segreto che lo fa stare in piedi davanti ad ogni sconvolgimento della storia, perché è Gesù stesso che lo fa stare in piedi. Chi si affida al Signore scompare solo per poco agli occhi di tutti: quando giunge la sua morte. In realtà compare a Dio, dove si vive per sempre (Lc 21,36). |