Omelia (12-12-2021) |
don Alberto Brignoli |
E adesso...che cosa dobbiamo fare? Domenica scorsa, ci eravamo lasciati con l'impegno a convertirci, o meglio a "cambiare testa", a vedere la vita e le cose della vita con occhi diversi, come le vede Dio, il quale non guarda al mondo con gli occhi dei potenti, ma con lo sguardo degli ultimi, di quelli che rispetto ai grandi della storia non hanno titoli da presentare per farsi valere, come è stato per Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. È ancora lui il protagonista della Liturgia della Parola di quest'oggi, anche perché qualcuno di quelli che andavano da lui a farsi battezzare ha iniziato ad avere il sospetto che lui non fosse solamente la "voce di uno che grida nel deserto", ma fosse effettivamente la Parola, ossia che non si trattasse solamente di un profeta come gli altri, ma che fosse veramente giunto in Israele il Cristo, il Messia tanto atteso. E allora, Giovanni si affretta a chiarire, con un linguaggio tutto suo, che era il caso di aspettare ancora un poco: colui che sarebbe giunto dopo di lui, il Cristo, era uno che andava giù pesante, molto più di lui. Uno al quale non era degno di slegare il laccio dei sandali, che era uno dei gesti più umili che gli schiavi compivano verso i padroni; uno che non battezzava, come lui, semplicemente nell'acqua, ma nel fuoco dello Spirito Santo; e il fuoco, si sa, serve per riscaldare ma anche per fare pulizia, quando si tratta di eliminare sterpaglie, legna secca e paglia dopo aver ripulito un pezzo di bosco, un giardino, la propria aia dopo la battitura del grano. Uno che non scherza, quindi, questo "Cristo" che sta per venire. Sappiamo bene come, in realtà, vada a finire la vicenda: il Cristo che conosciamo noi non aveva questi atteggiamenti giustizialisti, di uno venuto per mettere bene in chiaro le cose, per eliminare il male con la mano pesante... Lo stesso Giovanni, quando si troverà in carcere, andrà in crisi, sentendo parlare della misericordia di Gesù nei confronti dei peccatori, da lui considerati non certo "paglia da bruciare", bensì malati da curare, persone da amare più degli altri...espressioni che non facevano parte del vocabolario del Battista. Ma avremo tempo di capire com'è questo Messia e di apprezzare la sua misericordia. Adesso ci interessa, fondamentalmente, una cosa: va bene la conversione, va bene cambiare mentalità e vedere Dio con altri occhi, ma alla fine, tirando le somme, in concreto... che cosa dobbiamo fare? E a quanto pare, non ce lo chiediamo solo noi, oggi, in questi giorni di preghiera e riflessione che precedono il Natale, nei quali veniamo "bombardati" a più riprese da parole che ci invitano alla conversione, a un Natale fatto di valori veri, di ritorno all'essenziale, di riscoperta delle cose che contano. Se lo sono chiesti anche gli uditori di Giovanni che correvano da lui per ascoltare il suo "vangelo" (egli infatti non solo battezzava, ma come ci ricorda Luca, "evangelizzava il popolo"): "Che cosa dobbiamo fare?", è lo slogan ripetuto per ben tre volte, nel brano di oggi, da tre categorie differenti di persone accorse ad ascoltare Giovanni. Prima, in maniera generica, le folle; poi i pubblicani; infine, un gruppo di soldati. Tutti a chiedersi "Che cosa dobbiamo fare?". Va bene la conversione: ma cosa significa in concreto? Di concreto, innanzitutto, c'è una cosa da osservare: tra gli interlocutori di Giovanni non c'è un solo elemento che appartenga alla sfera "religiosa" (oggi diremmo "clericale"). Non uno scriba, non un sacerdote, non un fariseo né un dottore della Legge: a loro, l'invito alla conversione non interessa, forse si sentono già a posto, o forse hanno ascoltato talmente tanti profeti, santoni e predicatori, che si sentono "assuefatti" da gente brava a usare parole forti nel momento in cui la gente ha bisogno di sentirsi dire qualcosa di nuovo. A loro, i populismi non piacciono, e nemmeno interessano: il potere religioso è comunque nelle loro mani, la Parola di Dio la interpretano loro studiando la Legge, e il Tempio (e tutto l'oro che vi si trova) è gestito da loro. E questo, già la dice lunga: la conversione a cui Giovanni richiama è fatta di gesti che non riguardano la pratica religiosa, perché per quella c'è già la Legge, il Tempio, la Sinagoga, le istituzioni. "Fare qualcosa" per mettere in atto una conversione (cosa che un'istituzione religiosa difficilmente accetta) significa partire dalle cose concrete della vita, dal vissuto quotidiano: perché la conversione, il cambio di mentalità, o ti tocca sul vivo oppure rimane un bel discorso ricco di suggestioni, ma che non porta a niente. E allora, occorre davvero fare qualcosa, ma con il sano realismo di chi, per cambiare il mondo, è cosciente di dover prima di tutto cambiare il proprio mondo, nel proprio contesto quotidiano, senza grandi stravolgimenti, ma facendo bene, e con onestà, il proprio dovere. Cosa a cui, di fatto, Giovanni richiama chi lo interroga. Sei un pubblicano, esattore delle tasse? Nessuno ti chiede di buttare all'aria la tua vita o di smettere di riscuotere le tasse (dolorose, ma necessarie al buon funzionamento dell'apparato statale): "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato". E vi assicuro, è già molto, vista la nomea che voi pubblicani avete riguardo ai "balzelli" che mettete sulle tasse che riscuotete. Sei un soldato, uno che si occupa dell'ordine pubblico e della salvaguardia della legalità? "Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe". Eh, sì: perché il "fascino" legato all'indossare una divisa, "allora" (....), portava spesso ad abusi di potere, a estorsioni, ad atteggiamenti di padronanza sugli altri che altrimenti nella vita questi non avrebbero potuto permettersi, considerato il salario non certo esaltante che ricevevano (e pare che la storia non smetta di ripetersi, in questo senso). E poi, c'è l'uomo e la donna qualunque, quelli della porta accanto, quelli comuni, quelli che non hanno particolari incarichi e responsabilità: anch'essi possono fare qualcosa? E se sì, che cosa? Le due opere di carità più basilari: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto", alias "vestire gli ignudi e dar da mangiare agli affamati". Che non è difficile per nessuno, tantomeno "hic et nunc", "qui e ora", che abbiamo gli armadi stracolmi di indumenti messi una sola volta (o magari neppure quella) e che soffriamo di malattie legate prevalentemente all'eccessivo benessere, più che alla malnutrizione. Basta davvero poco, per mettere in atto il cambiamento: se ognuno inizia a fare la propria parte, nel proprio piccolo, con onestà, senza prevaricare sugli altri, anzi, facendo in modo che anche gli altri abbiano di che vivere in maniera dignitosa, allora il mondo inizierà davvero a essere differente da com'è adesso. Non mi pare che Giovanni ci chieda troppo... |