Omelia (02-01-2022) |
mons. Roberto Brunelli |
Non vi sarà più notte I vangeli del tempo natalizio, tratti dai primi capitoli di Matteo e di Luca, parlano della nascita di Gesù vista, per così dire, dal basso, nell'ottica terrena. Giovanni invece (vangelo di oggi 1,1-18) guarda "dall'alto" all'ingresso del Figlio di Dio nel mondo: manifesta i precedenti divini del fatto, e le sue conseguenze soprannaturali. E' una pagina solenne, che apre spiragli sulle insondabili profondità di Dio. Dice tra l'altro: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. Venne nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio, i quali non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, la gloria del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato". L'unigenito Figlio di Dio, Dio come il Padre, è il Verbo, cioè la Parola divina che ha creato il mondo; è Colui nel quale sta la vita, che egli ha voluto comunicare agli uomini facendosi carne, vale a dire diventando uno di noi; accoglierlo, comporta il diventare come lui, vale a dire figli di Dio. Per dirla con Sant'Agostino, "il Figlio di Dio si è fatto uomo, perché gli uomini si facciano figli di Dio". Accoglierlo è una decisione libera. Il dono incomparabile dell'essere adottati da Dio come figli non è automatico e generalizzato; Dio non costringe nessuno ad accettarlo, né lo spreca recapitandolo a chi non è interessato; per ottenerlo, occorre la libera decisione di accogliere il suo Verbo fattosi carne. Occorre la positiva volontà di riconoscere Gesù come il rivelatore del Padre, come il Maestro che insegna la verità su Dio e la via per giungere a lui, come Colui per mezzo del quale è stato creato il mondo e può dare agli uomini la vita eterna. "Io sono la via, la verità e la vita", ha detto un giorno. Per esprimere la grandezza del dono, la pagina evangelica di oggi lo paragona alla luce che splende nelle tenebre. Quello della luce è un simbolo di immediata comprensione, e per questo attraversa tutte le culture, dall'antico Egitto all'Illuminismo, e trova multiformi espressioni in ogni campo, dall'arte (il sole, una lampada, il fondo d'oro degli antichi dipinti) al linguaggio comune (basti ricordare che nascere si dice anche "venire alla luce"). Come, sul piano fisico, la luce del sole dà calore e consente la vita, altrettanto avviene sul piano spirituale con la luce divina, senza la quale regnerebbero le tenebre della morte. Nella Bibbia questo simbolo apre e chiude la rivelazione: le prime parole del Creatore sono "Sia la luce!" (Genesi 1,3) e al termine si dichiara che per i cittadini della celeste Gerusalemme, cioè il paradiso, "Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà" (Apocalisse 22,5). E tra la prima e l'ultima, le citazioni della luce sono innumerevoli; su tutte, ad accompagnare e rischiarare i giorni così spesso tenebrosi dell'umanità, si trova, nella pienezza del suo valore perenne, la splendente affermazione (Giovanni 8,12) con cui Gesù in persona ha dato conferma alle parole riportate sopra, relative al Verbo e a chi lo accoglie: "Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita". Si capisce perché Paolo (seconda lettura, Efesini 1-18) preghi affinché Dio "illumini gli occhi del vostro cuore, per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati". |