La tenda del Verbo
"E il Verbo si fece carne e pose la sua tenda fra noi" (v. 14). "...e il Verbo era Dio" (v. 1).
Ma che cos'è, per Dio, una tenda piantata nel bel mezzo della storia? Non era meglio un palazzo degno di un sovrano, un castello con mura e baluardi, o almeno una solida abitazione calda e con ogni comodità moderna? Che cos'è una tenda per un Figlio di Dio, quando già per un figlio dell'uomo sembra essere un riparo troppo incerto?
La tenda ci ricorda stazionamenti passeggeri, forse momenti di relax nelle camminate estive. Ad oggi l'immagine rimanda all'opera di volontari e infermieri, nelle postazioni vaccinali: ma sono tende proprio perché speriamo che presto non servano più, e si possano far sparire in fretta.
Ma per Dio nulla di tutto questo. E soprattutto, nulla di tanto contingente e passeggero, se non quanto il cammino di una vita. Per capire il senso della dimora dell'Altissimo, c'è da comprendere a fondo chi siamo noi, coloro in mezzo ai quali Egli ha voluto abitare.
Non siamo stelle indelebili in un cielo di sicurezze, bensì candele in cammino, di passaggio su questa terra. Spendiamo la vita a spargere gocce di cera, di lacrime gioiose, o più spesso di dolore. Siamo una carovana di compagni pellegrini, che ha bisogno di passi condivisi e non si può fermare troppo a lungo, per non suscitare illusioni. La vita dell'uomo e dell'umanità intera è un viaggio che da sempre ha avuto il sapore della precarietà. Cerchiamo di controllarlo, di gestirlo da padroni, e inevitabilmente ne rimaniamo delusi. La vita ci sfugge, di supera, e ci precede. Ma l'anelito della meta, l'invocazione di un traguardo infinito, l'attrazione di un futuro senza termine spinge e sospinge dalle viscere e da sempre. Tutti e ciascuno di noi.
"E il Verbo si fece carne, e pose la sua tenda fra di noi".
Dio ha voluto piantare la tenda nel bel mezzo di questa carovana benedetta, per confermare lo sforzo e per condividere la tensione nell'esistenza donata. Una tenda nel deserto è dimora provvisoria ma confortante, perché facile da raccogliere quando c'è da ripartire, ma allo stesso tempo fresca e ventilata per ristorare dal caldo e dalla fatica. Così è la casa di Dio fra noi. L'Eterno si fa precario per essere nostro compagno, e la sua abitazione resta aperta a chiunque voglia intrattenersi con Lui.
La tenda è presenza che non si impone, è ombra che accarezza e non travolge, è rifugio che protegge ma non divide né separa. È quindi profezia, quella che il Verbo ha portato a compimento assumendo la carne di un figlio d'uomo piccolo e bisognoso di tutto. Entrare in relazione con Lui, così indifeso e accessibile, insegna a rifiutare ogni modalità violenta e aggressiva di rapportarsi alle creature. Stare accanto alla sua povertà mostra la bellezza di una esistenza senza muri né chiavistelli, che chiudono e impediscono la confidenza. Correre come i viandanti di altri tempi, che furono i magi e i pastori, ai piedi della sua culla, una mangiatoia che anticipa la croce, assicura che nella sofferenza è bene stare condividendo piuttosto che manipolando con arroganza.
"E il Verbo si fece carne, e pose la sua tenda fra di noi".
La tenda che da Mosè in poi ospita lo spazio del Santissimo, adesso prende definitivamente i connotati di un Bambino. È la carne di una creatura, anzi di ogni essere umano, a portare impressi i segni della Sua presenza. Il corpicino di un figlio riceve la potenza dello Spirito, mandato dal Padre: d'ora in poi nessun pargolo d'uomo che viene al mondo può essere sminuito dalla sua dignità di tempio dell'Altissimo.
E come il grembo della Madre ha custodito il mistero per nove mesi, adesso è consegnata a noi e a tutti la stessa opera di salvezza: diventiamo preziosi agli occhi di Dio perché in noi e nella nostra vita Dio ha impresso i lineamenti del suo volto senza tempo.
"E il Verbo si fece carne, e pose la sua tenda fra di noi".
Proprio quaggiù, su questa terra. Potranno pure esistere altri mondi e altri viventi, in giro per l'universo. Ma poco cambia per la nostra meraviglia di questa notte santa, poiché la luce è venuta in questo mondo. E di noi, generazione di Adamo, ha detto l'unica cosa che conta: siamo le creature più belle, siamo noi a portare i tratti - per sempre - del Dio immenso fatto Bambino.
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