Omelia (06-01-2022) |
diac. Vito Calella |
Siamo della luce o delle tenebre? Gesù è la luce del mondo, il sole mattutino che splende su tutti i popoli In questa festa dell'Epifania, vogliamo fare nostre le parole del canto di Zaccaria e lodare il Padre per il suo «cuore misericordioso». Attraverso il suo sguardo misericordioso e fedele «ci visita il sole che sorge dall'alto». Questa luce, simile al sole, viene «a illuminare chi sta nelle tenebre e nell'ombra di morte» e vuole «guidare i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,78-79). Il "Sole" che sorge dall'alto è per noi oggi Gesù Cristo, il Figlio del Padre, nato a «Betlemme, terra di Giuda», luogo di nascita del re Davide. Il profeta Michea aveva profetizzato che da quel piccolo villaggio sarebbe uscito «il capo che sarebbe diventato pastore d'Israele» (Mic 5,1 citato in Mt 2,6). Per noi cristiani Gesù Cristo è paragonato al "Sole" che vince le tenebre della notte. Il Vangelo di Giovanni paragona la venuta di Gesù, Verbo fatto carne, alla luce vera che sfida le tenebre: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,9-11). Continuando la lettura del quarto vangelo, leggiamo: «Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie» (Gv 3,19). Più avanti Gesù si presenta come «la luce del mondo»: «Io sono la luce del mondo. Chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12); «Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo» (Gv 9,5). Dopo aver detto che quando «sarebbe stato innalzato da terra, avrebbe attirato tutti a sé» (Gv 12,32), Gesù ha aggiunto: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. 36Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce» (Gv 12,35-36a). Nella prima lettera di Giovanni leggiamo: «Dio è luce e in lui non ci sono tenebre» (1 Gv 1,5). Il vecchio Simeone, riconoscendo il bambino Gesù nel tempio di Gerusalemme, nel giorno della sua presentazione e circoncisione, aveva profetizzato che Gesù sarebbe diventato luce di tutte le nazioni e segno di contraddizione tra il popolo d'Israele; pronunciò questa bella preghiera: «Ora, Signore, lascia che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le nazioni e gloria dei tuo popolo Israele» (Lc 2,29-31). I Magi venuti dall'oriente che giunsero a Gerusalemme in cerca di un neonato, re dei Giudei, furono guidati da una stella. L'evangelista Matteo si ricordó di un racconto dell'Antico Testamento che presenta la storia del mago Balaam (cfr Num 22-24). Questo stregone «dagli occhi penetranti» era stato invitato da Balak, re di Moab, a maledire il popolo d'Israele. Ma aveva finito per profetizzare sempre in favore di Israele e, nel suo ultimo oracolo, aveva detto: «Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17a). La profezia di Balaam si adempì con la nascita di Gesù, il discendente di Davide. È la nostra stella di riferimento, è la nostra luce. I Magi venuti rappresentano anche tutti i popoli della terra che sono alla ricerca della luce vera che dia senso pieno alla vita umana e al destino di tutta l'umanità insieme a tutta l'opera meravigliosa della natura. Fin dall'inizio della vita di Gesù, luce del mondo, la visita dei Magi ha voluto indicare l'annuncio luminoso del Vangelo destinato a tutti i popoli. In questo senso si può intendere la parola del Signore ricevuta oggi attraverso l'apostolo Paolo, che fu il missionario del Vangelo rivolto a tutti i popoli. La salvezza e la proposta di alleanza del Padre è un mistero di salvezza proposto non solo per il popolo d'Israele, ma per tutti i popoli. Lo scrive agli Efesini: «I pagani sono ammessi alla stessa eredità, sono membra dello stesso corpo, sono associati alla stessa promessa in Gesù Cristo per mezzo del Vangelo» (Ef 3,6). La nostra scelta di essere figli della luce oppure coinvolti nelle tenebre del nostro egoismo. Davanti a Gesù che ci si presenta oggi come la luce delle nazioni, siamo chiamati a fare un discernimento e valutare se vogliamo essere figli della luce o preferiamo seguire altre stelle, altri idoli che soddisfino i nostri interessi, i nostri istinti egoistici. La Parola di Dio oggi ci presenta l'immagine di Gerusalemme, che per noi rappresenta il nostro essere comunità cristiana. Gerusalemme può essere avvolta dalla luce della presenza della Santissima Trinità in mezzo a noi e nel cuore di ciascuno di noi, ma può anche correre il rischio di essere una comunità turbata, condizionata nell'oscurità dei nostri interessi e istinti egoistici. Nella profezia di Isaia immaginiamo che la nostra comunità diventi un segno di luce per quanti vivono intorno a noi. Gerusalemme è avvolta dalla luce della presenza di Dio: «ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (Is 60,2-3). Nel vangelo, la stessa città di Gerusalemme appare avvolta nell'oscurità della perturbazione di Erode e delle autorità religiose del tempio. Quando seppe dai Magi la notizia della nascita del Re dei Giudei, «il re Erode restò turbato, come tutta la città di Gerusalemme» (Mt 2,3). La nostra comunità, simboleggiata nella città di Gerusalemme, può essere segno di luce per tutti i popoli oppure può diventare segno di oscurità. Anche la stella che guidava i Magi scomparve quando rimasero nella città di Gerusalemme, centro del potere politico e religioso, ma guidata da persone preoccupate di salvaguardare i propri interessi, rifiutando la novità della venuta del Messia. Vogliamo essere come Gerusalemme avvolta dalla luce Vogliamo fare la scelta di essere una comunità che riesca ad essere «sale della terra, luce e del mondo» (Mt 5,13-16). Possiamo farlo quando centralizziamo tutta la nostra vita in Gesù morto e risuscitato perché diventiamo amanti e praticanti della Parola di Dio. Con l'aiuto dello Spirito Santo, la Parola pregata fa sì che Gesù diventi la stella del mattino impressa permanentemente nelle nostre menti e nel nostro cuore: «E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino» (2Pt 1,19. La stella del mattino è Cristo, nostro maestro, nostro Signore, nostra «via, verità e vita» ( Gv 14,6). Tra tutte le parole insegnate da Gesù, fondamentale è il comandamento dell'amore, che riassume la nostra esperienza delle beatitudini. La Parola di Dio, attraverso l'apostolo Giovanni, ci dice: «se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato» (1Gv 1,7); «Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi» (1Gv 2,9-11). La parola di Dio, attraverso l'apostolo Paolo, ci esorta: «Siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre [...] noi invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza» (1 Ts 5,5.8). Adoriamo nostro Signore Gesù con i nostri doni d'oro, incenso e mirra! Per essere figli della luce, identifichiamoci con i Magi che «provarono una gioia grandissima al vedere di nuovo la stella» (Mt 2,10), dopo aver lasciato Gerusalemme senza luce. Rinnoviamo il nostro atto di adorazione di Gesù offrendogli il significato dei tre doni dell'oro, dell'incenso e della mirra, che rappresentano qualcosa di essenziale alla sua identità e anche al nostro desiderio di essere come lui. L'oro era il tributo che i re minori offrivano al re maggiore, per esprimere la loro totale appartenenza a lui e la sottomissione al suo regno. Gesù, l'inviato del Padre, ha fatto dell'obbedienza la sua opzione fondamentale e «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per tutti» (Mc 10,45). Possa il nostro oro essere la nostra scelta di assumere la diaconia come nostro stile di vita, impegnandoci a «lavarci reciprocamente i piedi gli uni con gli altri» (cfr Gv 13,14). L'incenso serviva ai sacerdoti per incensare l'altare. Ci ricorda Gesù sommo sacerdote che offrì il suo corpo in sacrificio per la nostra salvezza. Che il nostro incenso sia ora la nostra scelta di offrire anche il nostro corpo perché diventi strumento di relazioni rispettose secondo la gratuità dell'amore divino. La mirra è ricordata sette volte nel Cantico dei Cantici (Ct 1,13;3,6;4,6.14;5,1.5.13), e all'inizio dice l'intimità dell'amato con l'amato: «Il mio amato è per me un sacchetto di mirra che riposa tra i miei seni» (Ct 1,13). Possa la nostra mirra essere ora la nostra scelta per godere dell'essenziale della comunione con Gesù e della nostra comunione di condivisione della fede e della vita, sentendo tutta l fragranza della nostra dignità di figli amati dal Padre che ci è garantita dal profumo dello Spirito Santo in noi. |