Omelia (01-01-2022) |
don Alberto Brignoli |
Dialogare, educare e lavorare: strumenti per la Pace Il messaggio di papa Francesco per questa 55ª edizione della Giornata Mondiale della Pace ruota intorno a tre concetti chiave, visti dal Pontefice come "vie per la costruzione di una pace duratura", "elementi imprescindibili per dare vita ad un patto sociale senza il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente". Si tratta del "dialogo tra le generazioni, quale base per la realizzazione di progetti condivisi; l'educazione, come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo; il lavoro per una piena realizzazione della dignità umana". I tre concetti sono espressi da papa Francesco con la sintetica chiarezza che contraddistingue la sua capacità comunicativa, e che offre veramente a tutti la possibilità di sviluppare una seria riflessione sulla pace, che, come ogni patto sociale, deve poter essere realizzato assicurando giustizia e dignità a ogni uomo. Provo a fare qualche riflessione al riguardo, cercando di calarla ulteriormente in questo contesto spazio-temporale nel quale ci troviamo a vivere a causa della pandemia che non siamo riusciti a scrollarci di dosso nemmeno alle prime luci dell'alba di questo che, ormai, è il terzo anno che ci apprestiamo a vivere con in mano un dizionario nel quale pare siano scritti solamente questi sostantivi: virus, contagio, distanziamento, mascherina, vaccino, dose, tampone, oltre ad alcuni termini di natura anglosassone, quali green pass, hub, booster, droplet, cluster, lockdown e smart working, solo per citare i più utilizzati. Innanzitutto, a quasi due anni di distanza dall'inizio del peggior lockdown generalizzato che l'Italia abbia mai vissuto (9 marzo - 3 maggio 2020), la grande affermazione profetica "Ne usciremo migliori" che campeggiava sulle bocche di tutti insieme all'altra grande sentenza "Andrà tutto bene" potrebbe essere candidata a ricevere quella statuetta d'oro che spesso vediamo consegnata dal corrispondente di un programma televisivo satirico e che non rappresenta certo l'Oscar, bensì un animale tropicale dal naso ben pronunciato... della serie: "Le ultime parole famose". Credo che tutti, oramai, con molta serenità e rassegnazione, senza alcuna vena polemica e pure consapevoli di essere ancora in fase di lotta contro qualcosa di enormemente più grande di noi, possiamo dire che non tutto è andato bene e che non ne siamo usciti migliori. Molte cose buone sono state fatte, anche in tempi rapidi; la tecnologia ha dato una mano enorme a superare certi ostacoli; sono certamente emerse alcune ricchezze anche dal punto di vista della solidarietà delle quali ci eravamo dimenticati in questi ultimi decenni. Ma sono esponenzialmente più grandi le fatiche, i limiti, le brutture, le meschinità, gli egoismi e gli interessi personali che hanno fatto di noi - come molti filosofi in varie epoche storiche hanno teorizzato - dei "lupi in lotta contro altri lupi". Anche solo per un personale istinto di sopravvivenza - e quindi senza esplicita cattiveria - ognuno di noi ha pensato più a non farsi travolgere da questa situazione che a mettersi a servizio di una società della quale si fa fatica a fidarsi. Il divario sociale, l'accresciuta povertà, la solitudine e la fragilità di molte persone sono solo la punta dell'iceberg di un malessere enorme e globalmente diffuso. Anche il Papa riprende il tema della solitudine e della fragilità, collegandolo a due categorie di persone: gli anziani, sempre più soli, e i giovani, sempre più fragili. Papa Francesco vede nel dialogo tra le generazioni un modo per riappropriarci di quella fiducia nell'altro che in questo periodo è venuta fortemente meno. Custodire la memoria (ossia avere cura degli anziani, spesso lasciati letteralmente a morire senza adeguate cure) e portare avanti la storia (dando stimoli alle nuove generazioni) sono due priorità che non possono eludersi a vicenda: non c'è vero progresso là dove non c'è memoria del passato e di una storia che è ancora maestra di vita, e non c'è ricordo del passato e della nostra memoria storica che possa essere mantenuto vivo senza cercare nuove forme di comunicazione e di sviluppo. Non ci sono frutti senza radici, così come tronchi secchi e abbandonati non potranno mai rifiorire senza nuove tecniche di coltivazione. Concretamente, in una comunità (a livello mondiale, nazionale o locale) non può mai mancare l'attenzione al rispetto delle tradizioni e la voglia di innovare e di cambiare: se si vuole costruire una società pacifica, non si possono sentire frasi del tipo "Non me ne frega niente di quello che è stato fatto finora" o "Abbiamo sempre fatto così, per cui non si cambia". L'orgoglio è sempre causa scatenante di conflitti: "Se l'orgoglio non è moderato, sarà la nostra più grande punizione", diceva Dante, tanto celebrato lo scorso anno. Il dialogo generazionale può portare alla costruzione di una società basata su educazione e istruzione: la rilettura della storia e il ritorno alla tradizione come fonte di rinnovamento aprono in maniera decisa la strada alla ricerca di forme nuove di crescita e di sviluppo, e l'educazione e l'istruzione, personale e collettiva, sono lo strumento più efficace per portare avanti questo sviluppo. Uno sviluppo che guarda al futuro con fiducia e libertà perché portato avanti da menti colte, istruite, educate e formate. Uno degli aforismi a me più caro, e che spesso cito, è il seguente, pronunciato da "Madiba", come i sudafricani amavano chiamare Nelson Mandela: "L'educazione è l'arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo". Eppure, si continua a spendere molto di più in armi di distruzione che in armi di cambiamento, come ricorda ancora papa Francesco nel suo messaggio: "Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l'istruzione e l'educazione, considerate spese piuttosto che investimenti.... Le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della guerra fredda, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante". Certo, noi non possiamo fare nulla a livello planetario: su questo devono lavorare i governi come lo stesso Papa auspica. Ma noi possiamo fare molto nel nostro piccolo, sforzandoci per dedicare più tempo alla cultura, alla lettura e allo studio, facendoci domande sul senso delle cose alle quali, possibilmente, poter rispondere con approfondimenti intelligenti, più che accontentandoci di rispostine trovate su enciclopedie on line con nomi che evocano Vichinghi più che studiosi... L'ultimo aspetto sottolineato da Papa Francesco riguarda il lavoro, "attore indispensabile per costruire e preservare la pace... luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello". La pandemia ha messo letteralmente in ginocchio, a livello mondiale, moltissime attività lavorative, nella migliore delle ipotesi divenute precarie e frammentarie, ma molto spesso annullate e costrette a chiudere in maniera totale e definitiva. Auspicare situazioni lavorative dignitose è quanto mai necessario, ma ancor prima è assolutamente imprescindibile creare lavoro: e di certo non lo si crea sostituendo le persone con le macchine o con i software, che possono essere senza dubbio più efficienti e rapidi, ma non possono e non devono creare povertà lasciando a casa gente senza lavoro perché "inutile" o non preparata. Ritornare a un lavoro in cui ci sia bisogno di teste e braccia in carne e ossa, non è un sogno nostalgico, ma una necessità, anche a costo di dover fare un passo indietro sull'efficienza e la velocità nelle trasformazioni sociali. E a questo, possiamo contribuire tutti iniziando dall'aspetto più evidente dell'economia, ossia il commercio: fare acquisti che aiutino il lavoro locale e soprattutto manuale è il primo passo, possibile a tutti, per creare o quantomeno non perdere ulteriori posti di lavoro. Ne va del beneficio di tutti. Ne va, soprattutto, della pace di tutti. |