Omelia (02-01-2022)
padre Gian Franco Scarpitta
Il Dio del Principio e della realtà

Ancora un'esortazione a considerare la nascita nella carne di Gesù, figlio di Dio. Divenuto uomo, oltre che Figlio di Dio diventa anche Figlio dell'Uomo.
La nascita di Gesù è possibile vederla da angolature differenti, con emozioni cangianti secondo culture, mentalità e concezioni differenti.
Il Vangelo di Giovanni ci invita a guardare il Natale da una dimensione discendente: a differenza degli altri evangelisti, non racconta gli avvenimenti della nascita di Gesù preordinati dalla manifestazione dell'angelo Gabriele a Maria; non descrive come avvennero i fatti, ma parla della nascita di Gesù come "il Verbo fatto carne". Cioè come la Parola divina, per mezzo della quale Dio aveva messo in atto ogni cosa, la Parola eterna che era presente con il Padre sin dall'inizio dei tempi, in un determinato momento che Essa stessa assieme al Padre ritennero favorevoli ("quando venne la pienezza del tempo, Gal 4, 3) decise di diventare carne, ossia di assumere fino in fondo la nostra realtà, divenendo Uomo egli stesso. Il termine "carne" ha nella Bibbia una valenza di peccaminosità e di putredine e attesta la caducità e corruttibilità causata dal peccato. Ebbene, la Parola eterna di Dio assunse questa condizione di imperfezione e di peccato, anche se in Gesù non si è mai trovato peccato. Per dirla con Paolo; "Colui che non ha conosciuto peccato, Dio lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio"(2Cor 5, 21).
Per sintetizzare, Dio stesso, nella seconda Persona della Trinità, si è incarnato nel grembo della vergine Maria. Il tempo che Dio ha ritenuto opportuno corrisponde al periodo storico dell'Imperatore Ottaviano Augusto, il territorio è quello della Giudea, nella cittadina di Betlemme, già preconizzata dal profeta Michea (cap 5); la sua origine geografica è quella della città di Nazareth stigmatizzata dai contemporanei; la famiglia è quella del carpentiere Giuseppe e dell'umilissima Maria di Nazareth. Il nome che assume è Gesù, che significa Salvatore. Come del resto si riscontra nelle lettere di Paolo, a differenza dai nostri giorni il temine Gesù viene preceduto da Cristo (Cristo Gesù, non il contrario) per indicare che egli è il Messia (Cristos) Salvatore atteso dalle genti. Gesù nato a Betlemme è insomma il Divino che assume l'umanità. Dio che entra nella storia e l'assume fino in fondo.
La prima Lettura di questa liturgia ci fa concludere anche che Gesù è "Sapienza di Dio"(1Cor 1, 24). Al momento della creazione del mondo, infatti, erano presenti soltanto la sapienza di Dio e lo Spirito di Dio, accanto al Padre. Lo Spirito e la Sapienza esistevano in Dio fin dall'eternità e sono essi stessi Dio. Questa sapienza, si è manifestata definitivamente in Gesù Cristo nell'evento di Betlemme. Gesù è quindi "la sapienza di Dio che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria(1Cor 2, 7 - 10).
Ed effettivamente in Gesù Cristo Dio eterno ci ha reso manifesto in pienezza ogni elemento di verità e se è vero che "Dio nessuno lo ha mai visto"(Gv 1, 18) Gesù Cristo, Sapienza di Dio incarnata ce lo ha rivelato e di Lui ci ha dato un'immagine concreta ed esaudiente.
Vedere Gesù vuol dire vedere anche il Padre (Dei Verbum, 2), avere conoscenza della verità, perché Gesù stesso è la via, la verità e la vita (Gv 14, 6); porsi al suo seguito vuol dire camminare nella verità ed essere certi di fare davvero la volontà di Dio. E questo a vantaggio stesso dell'uomo, che inconsapevolmente ambisce a conoscere il vero per potervi aderire e perseverare.
Poiché Gesù Cristo è il Verbo e Sapienza di Dio fatto Uomo, "in lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza umana"(Col 2, 3) in modo che tutti gli uomini possano risolvere ogni dubbio intorno al proprio comportamento e sulle proprie scelte di vita. Come ammonisce lo stesso apostolo Paolo, occorre configurarsi a Gesù Cristo, e sul suo esempio sopportare anche le prove, le tribolazioni e le persecuzioni per fare esperienza del suo amore e della sua gloria una volta raggiunto il traguardo della vittoria; è indispensabile rispondere al male facendo il bene, esercitare la carità che accanto alla fede è il vincolo della perfezione e radicarsi nella speranza, senza mai scomporsi né arrendersi alle sconfitte e alle avversità. La Sapienza incarnata ci invita a esercitare la sapienza divina da Essa stessa indicata, ossia la ragionevolezza, il criterio, la prudenza nelle varie deliberazioni da intraprendere perché tutto possa essere scelto secondo Dio e per ciò stesso per il nostro vero vantaggio. La sapienza è discernimento, ponderazione, attenzione che scaturiscono dal dono dello Spirito; viene conseguita con la preghiera e con l'esercizio della virtù medesima.
La scelta radicale di Cristo è quella prospettata dalle Beatitudini, ciascuna delineante una promessa futura che consegue a uno sforzo presente di esercizio ma che non lascia mai deluse le attese di chi la esercita. E' indispensabile adottare questo criterio sapiente di vita, non omettendo la dimensione indispensabile della croce, unica risorsa che lo rende possibile e unica in grado di conseguire la gloria stessa del Signore Gesù Cristo Risorto.
Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13, 8) ci pone tutte le motivazioni perché noi possiamo preferirlo a tutti i modelli alternativi di vita, mostrandosi il criterio, il riferimento, l'orientamento della nostra esistenza. Tutto questo per la semplice ragione che egli è la Parola, la Sapienza che, immutabile ed eterna, ha deciso di raggiungerci per accompagnarci fino in fondo, facendo della sua Trascendenza una perenne concretezza e ordinarietà per noi.