Omelia (02-01-2022)
don Alberto Brignoli
Farsi carne. Come Dio.

In questi giorni, i suggestivi racconti del vangelo ci hanno scaldato il cuore, parlandoci di ciò che avvenne nei giorni della nascita di Gesù: oggi, la Liturgia della Parola continua a parlarci del mistero del Natale, ma lo fa in una forma molto particolare, poco romantica, quasi intellettuale, teologica.
Il Mistero dell'Incarnazione ci viene presentato attraverso il Prologo del Vangelo di Giovanni, preceduto da due letture (la prima tratta dal libro del Siracide, la seconda da una lettera di Paolo) che ci parlano della Sapienza Divina, nascosta in cielo fin dalla creazione del mondo, e rivelata agli uomini proprio attraverso la venuta del Figlio di Dio in mezzo a noi. Giovanni riprende questi temi mostrandoci che Gesù, il Figlio di Dio, non solo ci manifesta questa Sapienza, ma addirittura la personifica, la "rende carne" venendo ad abitare in mezzo a noi. Forse il messaggio più importante di tutto il tempo di Natale è proprio questo: l'Incarnazione di Dio, il suo farsi presente "in carne ed ossa" nella nostra storia, il suo passare dall'essere "Parola", "Verbo", all'essere "Carne", "Persona concreta".
Nell'Antico Testamento, la presenza di Dio nella storia del Popolo d'Israele è stata una presenza "verbale", fatta prevalentemente di "parole", di "comandi" dati all'uomo attraverso una Parola che comunque rivela tutta la sua forza: una Parola creatrice ("Dio disse"...e la creazione fu, ci ricorda Genesi), una Parola liberatrice (dà inizio all'Esodo e alla liberazione del popolo oppresso), una Parola legislatrice (data per mezzo di Mosè sul Sinai), una Parola ammonitrice e premonitrice (attraverso i Profeti, che ricordano al popolo i suoi doveri nei confronti di Dio). È un percorso esaltante, così come lo è tutta la Storia della Salvezza. Ma questo, all'uomo non basta; e Dio lo sa bene. Dio è perfettamente consapevole che il percorso dell'Antico Testamento, per quanto esaltante possa essere, è un percorso incompleto, perché rimane un percorso fatto di una Parola che continua ad avere la sua efficacia finché l'uomo risponde e corrisponde alla Parola che gli viene rivolta. Ma nel momento in cui l'uomo, con la sua vita, non corrisponde più all'efficacia della Parola di Dio (cosa che si verifica puntualmente, nella storia del popolo di Dio), Dio capisce che deve rendere la sua Parola una realtà viva, concreta, incarnata nella vita di ogni uomo. Gli stessi israeliti, spesso, rimproveravano a Dio che il suo essere Assoluto e Onnipotente lo rendeva irraggiungibile, distante dall'uomo, capace sì di dare ordini, di disporre in un ordine perfetto le cose, di essere Signore della Vita e della Morte, ma comunque distante, lontano dai drammi concreti della vita quotidiana dell'uomo. Questo "rimprovero" trova risposta proprio nel mistero del Natale, dell'Incarnazione del Figlio di Dio, di fronte al quale, appunto, l'uomo non può più dire a Dio "Sei lontano da me", perché Dio accetta di farsi uomo per condividere con lui tutta la drammaticità e la bellezza della vita quotidiana, per farne poi motivo di salvezza.
Ecco allora il senso di quel testo che oggi contempliamo: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Se Dio ha deciso di salvare l'uomo attraverso la condivisione della sua natura umana, senz'altro ha voluto insegnarci qualcosa: e credo che abbia voluto farci comprendere che non esiste un legame tra lui e l'uomo che non passi attraverso l'Incarnazione, attraverso il suo farsi uomo come noi in tutto, anche nei limiti della nostra natura umana, fuorché nel peccato. La sua morte in croce, a Pasqua, ce lo insegnerà in maniera evidente. E questo ha delle conseguenze che non possono lasciare indifferente la nostra vita di fede.
Se, grazie a Dio, la nostra fede cristiana è basata sull'Incarnazione, sul "farsi carne" di Dio, allora la vita di fede dev'essere profondamente incarnata nella situazione umana e nella storia nella quale siamo inseriti per cercare di darvi un senso.
Non possiamo dirci credenti in Cristo, e quindi nell'Incarnazione, se viviamo una vita cristiana "asettica", fatta di tante belle preghierine, formulette e giaculatorie, e che finisce lì, senza rivolgere uno sguardo attento all'umanità nella concretezza del quotidiano. Perché per essere cristiani nel vero senso della parola, dobbiamo tenere in una mano la Bibbia e nell'altra mano il giornale di oggi.
Non possiamo dirci cristiani e disinteressarci dei problemi di un'economia messa in ginocchio da questa pandemia. Non possiamo, oggi, dirci cristiani e rimanere indifferenti e zitti di fronte ai conflitti armati, ai fili spinati posti ai confini della nostra Europa, ai barconi di migranti che affondano nel Mediterraneo e a tutte le evidenti violazioni dei diritti umani in ogni parte del mondo.
Non posso dirmi cristiano e non fare nulla di fronte a una famiglia del mio paese in difficoltà perché senza lavoro. Non posso, oggi, dirmi cristiano ed essere capace solo di dire "Se la sono cercata" di fronte a giovani che muoiono a causa dell'alcool e della droga.
Non posso, oggi, dirmi cristiano e disincarnarmi dalla realtà al punto di dire rassegnato "Non so cosa fare, non ho le competenze" di fronte a una famiglia che ha un malato cronico o un disabile in casa a pochi metri da casa mia...
Come Chiesa, non possiamo sederci sul trono delle nostre acquisite certezze dogmatiche senza entrare in dialogo con un mondo e un'umanità che ha fame di Dio (anche quando non lo manifesta) e di una vita giusta e dignitosa. Molti nemici della Chiesa vorrebbero che fosse "disincarnata", che si preoccupasse delle sue cose interne e che non mettesse becco nella vita concreta dell'uomo contemporaneo. Ma grazie a Dio, non è così!
Ben vengano, allora, le prese di posizione della Chiesa sui drammi e i problemi dell'umanità: dalle povertà al rispetto dei diritti umani, dal senso di Dio che si è smarrito alle questioni di etica e di bioetica, dalla famiglia all'interesse per i diritti dei cittadini, dall'economia all'educazione, alla scuola, alla politica, alla salute, e chi più ne ha, più ne metta, su tutto ciò che sa di umano.
Se addirittura la Parola di Dio, eterna dal Principio, si è fatta carne, chi siamo noi per impedire che la nostra fede in Cristo passi dalle parole ai fatti, dalla scrittura alla storia, dalla preghiera alla vita?