Omelia (01-01-2022)
don Luca Garbinetto
La benedizione dei figli

Concludere un anno e cominciarne uno nuovo è un po' come uscire di casa e partire per un nuovo viaggio. Solo che, anziché svilupparsi lungo le ordinate dello spazio, questo nuovo cammino si snoda nei giorni e nelle ore, sotto il mantello del tempo che scorre. È comunque un inno alla nostra condizione umana, alla verità di creature che non esisterebbero se non dentro il limite dei confini scanditi dai mattini e dai tramonti. È in questi margini da attraversare e da vivere intensamente, dento gli istanti da riconoscere come colmi di senso e di opportunità, che si svela il mistero della Vita.


Un anno nuovo che nasce, quindi, come un viaggio che inizia, chiede la consolazione di una benedizione.

Perché si lascia indietro qualcosa, forse anche qualcuno, o almeno la sua presenza viene raccolta nell'essenza dentro di sé. Conserviamo i ricordi, le immagini interiorizzate, fatte di profumi, gesti e rumori che affinano lo strumento del cuore a riconoscerne le tracce anche altrove. Partiamo portando dentro di noi il bene ricevuto e le ferite aperte o cicatrizzate, almeno in parte; ma abbiamo bisogno di una parola che ci incoraggi, che ci sostenga, forse anche che ci sospinga per non restare impantanati ai blocchi di partenza.


La benedizione è una parola che si fa carne.

Proprio come nella grotta di Betlemme. Lì arrivarono i pastori, portando l'eco dei canti angelici, vibrando ancora di quei suoni gioiosi che avevano infranto il silenzio dell'attesa. Vennero a condividere lo stesso coro, capaci a modo loro di riportare in terra una musica dal sapore di Eterno. I pastori, nella loro semplicità, traboccano la benedizione paterna di Dio verso il Bambino, e così consolano la Vergine Madre nel viaggio che inizia: quello di custodire ed educare quel dono impensabile che già le aveva gonfiato di tremore il grembo.


I pastori benedicono, perché sono stati benedetti.

E le genti si stupiscono. Ogni vera benedizione ha il gusto dolce e vigoroso della tenerezza, anche per chi presume di non averne bisogno. Si toccano le corde della commozione negli animi di chiunque, persino di chi si fa duro nella scorza dei propri atteggiamenti.

Ma i pastori hanno anche bisogno di una nuova benedizione. Perché incontrare il Bimbo nella mangiatoia, che compie la promessa annunciata dagli angeli, significa avere conferma che la propria corsa - il viaggio, a volte, chiede davvero di andare in fretta - non è stata vana, e che quindi vale ancora la pena di andare. Così il silenzio meravigliato e armonioso di Maria, la fanciulla che è stata benedetta dall'ombra dell'Altissimo e dal saluto di Elisabetta, risuona nel cuore di quegli uomini abituati all'austerità della notte come una carezza benedicente.

Lo è anche per noi.


Maria ci benedice, e lo fa restituendo a ogni benedizione il suo valore più autentico.

La benedizione ricevuta è infatti accoglienza di un dono che dice consegna e affidamento. Per essere benedetti, e perché la benedizione abbia effetto, non basta la fiducia di chi la dona, ma serve soprattutto l'umiltà di chi la riceve. Il benedetto si riconosce mancante, bisognoso di nutrimento, incapace di autarchia, povero. Il benedetto abbraccia la consapevolezza di essere debitore di tutto, specialmente della vita, e della forza per continuarne il viaggio. Il benedetto, insomma, riscopre la propria identità di figlio.


Siamo figli, e figli amati, perché benedetti.

Questo è il dono prezioso della Madre di Dio, che diventa Madre nostra perché noi siamo a immagine e somiglianza di quel Bambino adorato. La benedizione è figliolanza, vissuta fin nell'intimo di ogni relazione. Dio ci rivela che in questo rapporto sta il segreto della vera gioia, l'unico bagaglio da non lasciare mai indietro quando si riparte per la via. Siamo figli, e abbiamo un Padre e una Madre, che hanno voluto essere a loro volta benedetti, per innescare la dolcezza di una reciprocità che riempie l'esistenza di significato.

Inizia un anno nuovo. Senza indugio o con timore, il sentiero ci chiede di essere percorso. Non da soli, però, non come automi programmati per essere autonomi. Crescere vuol dire riscoprire e permetterci di vivere grati da figli. Smettere di rifiutare il dono della benedizione paterna e materna. Lasciare che la delicatezza e l'intensità della rugiada dello Spirito dell'Altissimo sani anche le relazioni frammentate e sconnesse della nostra vita di creature.

E se ancora non l'abbiamo ricevuta, se non l'abbiamo potuta sentire, volgiamoci con coraggio, senza più aspettare, al volto bello di Maria, e invochiamo fiduciosi: "Dammi, Madre, la tua benedizione!". Profuma di divino.