Omelia (06-01-2022)
fr. Massimo Rossi
Commento su Matteo 2,1-12

In occasione della solennità del Natale, i gruppi parrocchiali - bambini, ragazzi, giovani, famiglie - hanno pensato di esprimere il mistero della nascita del Signore allestendo un presepe di stoffa: ogni gruppo aveva l'impegno di realizzare una delle figure tradizionalmente presenti dentro e fuori dalla capanna, curando in particolare il loro abbigliamento. La veste è un tema biblico importante, che risuona nelle profezie, come nei Vangeli, nei libri storici, come nell'Apocalisse,...
La veste indica lo stato di vita, il rango sociale, una malattia particolarmente infamante come la lebbra; indica soprattutto lo stato interiore, un desiderio profondo di fare penitenza; Gesù reagisce contro l'usanza sociale di indossare il sacco, e di lacerarsi le vesti, per far vedere che si sta digiunando; secondo il Vangelo di Luca, l'abito della festa allude alla conversione del figlio prodigo che ritorna da suo padre.

Prima che un valore simbolico per tutte le religioni, l'abbigliamento ha una forte valenza antropologica: esprime la festa, ma anche il lutto. Presso molte culture di estrazione contadina, a Pasqua è costume - proprio il caso di dirlo! - di vestire un indumento nuovo, mai indossato, possibilmente bianco, un chiaro richiamo alla tradizione religiosa...
Per la liturgia cristiana, fin dal primo secolo, la veste bianca era il segno del battesimo: il catecumeno la indossava la notte di Pasqua, dopo essere rinato alla fede dall'acqua, e la portava per sette giorni, fino alla domenica dopo Pasqua, chiamata, appunto, "in albis deponendis" - poi ribattezzata domenica in albis -, nella quale i neofiti deponevano la veste ricevuta in occasione della Veglia.
Nel nostro Ordine, vestire l'abito non è soltanto segno di appartenenza alla grande famiglia domenicana; un antico detto, che circolava nei nostri ambienti fin dagli anni delle prime fondazioni, recitava: "Induite Dominicum, ut induatis Dominum Jesum Christum", rivestitevi di Domenico, per rivestirvi del Signore Gesù Cristo.

E, a proposito di vestito, la profezia di Isaia che abbiamo ascoltato come prima lettura ordina - un vero e proprio comando! - di alzarci e rivestirci di luce: il motivo non è soltanto il desiderio di risplendere, di distinguersi dall'opacità anonima del mondo; il fine è quello di illuminare (anche) il cammino degli altri, offrendo loro un riflesso della gioia che ci è stata gratuitamente donata.
Il destinatario dell'annuncio profetico può essere una persona, chiunque abbia trovato la luce del Messia,... C'è tuttavia un forte richiamo alla paternità di colui che è stato illuminato: "I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio...": è verosimile che Israele sia il vero destinatario dell'annuncio; ma proprio Israele rifiuterà il Messia, rifiutando di riconoscere nell'uomo di Nazareth, nel figlio del falegname, il Cristo, il Re dei Re, Colui che avrebbe reso immortale il capostipite della sua discendenza, Davide. Ed anche questo rifiuto, esplicito, plateale, assume un accento di maggiore vistosità nel particolare della veste: al termine dell'interrogatorio davanti a Pilato, Gesù venne rivestito di porpora, e fatto oggetto di scherno da parte dei soldati, come il re dei Giudei (cfr. Mt 27,27); infine la tunica del Nazareno, tessuta tutta di un pezzo, senza cuciture (cfr. Gv 19,23-24), viene tirata a sorte tra coloro che hanno materialmente eseguito la sentenza... Di questo gesto infame e blasfemo parla il salmo 21/22, l'affresco più chiaro, completo e inquietante della passione di Gesù, ne consiglio vivamente la lettura.
La tunica del Signore, ispiratrice di romanzi e film storici, rappresenta l'integrità, la totalità, l'universalità del messaggio cristiano, e della salvezza, che attende tutta l'umanità, senza distinzione.
E proprio l'universalità del messaggio cristiano è il tema fondamentale del Vangelo di oggi: ne sono simbolo i Magi venuti dall'oriente a rendere omaggio al bambino, indicato loro dalla stella.
Sull'universalità della salvezza, legata all'adesione alla fede, è necessario intendersi bene: intanto la questione si presenta nel Vangelo come una vera e propria grande inclusione letteraria, nel senso che se ne parla qui, all'inizio della vicenda di Gesù, e anche negli ultimi versetti del Vangelo, quando il Risorto appare agli Undici in Galilea e ordina loro di annunciare ovunque il messaggio, facendo discepole tutte le nazioni (cfr. Mt 28,19-20). Che cosa significa affermare che la salvezza è legata all'adesione di fede?...che quelli che non credono finiranno all'inferno?
Beh, se questi vanno all'inferno, ci sarà qualcun altro a fargli compagnia... noi!
Siamo noi i responsabili della fede altrui, in positivo e in negativo: credano, o non credano, noi appartenenti alla Chiesa di Cristo raccoglieremo meriti, ma anche responsabilità, onori e oneri...
La Chiesa serve a questo: fino a quando ci sarà qualcuno che non ha conosciuto Cristo, o che, pur avendolo conosciuto, rifiuterà di credere in Lui e di seguirlo, la Chiesa sarà necessaria.
Dopo sarà la fine, la missione del Verbo sarà conclusa.

Certo, il Verbo ha portato a termine il mandato ricevuto dal Padre, morendo, risorgendo e ascendendo al cielo. Ma la Sua missione non si è conclusa! La missione del Verbo continua, deve continuare attraverso di noi, che risplendiamo della Sua luce; noi che abbiamo visto la stella, come i pastori e i Magi; noi che siamo andati a rendere omaggio al bambino deposto nella mangiatoia; noi che abbiamo raccontato quello che abbiamo visto; noi che siamo ritornati, o torneremo alle nostre case, ma non per la stessa strada...