Omelia (09-01-2022) |
don Alberto Brignoli |
Popolo, preghiera, corpo: ecco il nostro Messia! Tra i pochi avvenimenti della vita di Gesù descritti da tutti e quattro gli evangelisti, c'è proprio quello che oggi contempliamo e celebriamo nella Liturgia: il Battesimo da parte di Giovanni il Battista nel fiume Giordano. Ognuno dei quattro, ovviamente, lo presenta con caratteristiche proprie, che rispondono anche alla teologia del proprio Vangelo. Il quarto Vangelo (quello di Giovanni) non parla di immersione nelle acque del Giordano: riporta solo la testimonianza del Battista che vede lo Spirito Santo posarsi su Gesù, perché la sua preoccupazione è quella di mostrare il Battista come testimone del Cristo, colui che apre la strada a Chi avrà su di sé la pienezza dello Spirito. Marco, con l'essenzialità che lo contraddistingue, parla del momento del battesimo in pochi versetti, peraltro subito collegati alla missione di Gesù che viene spinto dallo Spirito nel deserto per essere tentato e - sono passati solo venti versetti del suo Vangelo - chiamare poi i primi discepoli a seguirlo. Matteo, presentando un animato dialogo tra Giovanni il Battista e Gesù, è preoccupato che tutto si compia "adempiendo ogni giustizia" perché la sua comunità, composta da osservanti giudei divenuti cristiani, ha bisogno di sapere che Gesù adempie con tutto ciò che appartiene alla storia del popolo eletto. E Luca, il nostro compagno di viaggio di quest'anno, quale caratteristica sottolinea nel suo racconto? A me pare di poter notare tre cose che non vengono riportate dagli altri evangelisti, e che sicuramente hanno qualcosa di insegnarci su Gesù Messia. Innanzitutto, Luca ci dice che "tutto il popolo veniva battezzato". Non dice "tutti", in generale: dice in maniera chiara "tutto il popolo". Nel "popolo" dobbiamo leggere non il popolo eletto d'Israele, ma quello che noi definiamo "il popolino", la "plebe", la massa di persone senza autorità, senza titoli, senza blasoni, senza privilegi, che ha come unico motivo di identità - e quasi di vanto - quello di essere "battezzato", "immerso" nella misericordia di Dio che attraverso il gesto simbolico di Giovanni prepara il popolo all'incontro con il Messia; tant'è vero che nei primi versetti del Vangelo di oggi si legge questa ansia del popolo "in attesa", dove "tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo". L'ansia di salvezza del "popolino" è una questione "di cuore", di passione per la salvezza: cosa che non riguarda le autorità religiose, gli scribi, i farisei, i sacerdoti, i quali nemmeno si preoccupano di andare da Giovanni ad attingere parole e gesti di salvezza. L'unico personaggio non "popolano" che Luca mette in relazione con il Battista è il tetrarca Erode, del quale dice che veniva da lui rimproverato "per le malvagità che aveva commesso", alle quali aggiunse anche quella di "far rinchiudere in prigione Giovanni": del resto, quando chi governa non si lascia guidare da principi di giustizia, ogni cosa che fa pensa di essere autorizzato a farla in nome di se stesso. Solo il popolo semplice, senza cultura, senza titoli, senza potere e senza pretese, è capace di accogliere il messaggio di salvezza: ebbene, in mezzo a tutto questo popolo, anche il Figlio di Dio, spogliandosi della regalità e della divinità esaltata pochi giorni fa dai Magi, si mette in fila per farsi battezzare da Giovanni. Il Dio di Gesù Cristo non viene per comandare sul popolo, ma per essere parte del popolo e mettersi al suo servizio. E questa caratteristica la troveremo rimarcata spesso nel Gesù di Luca. Così come troveremo spesso Gesù, nel vangelo di Luca, in atteggiamento di preghiera, proprio come Luca sottolinea nel racconto del battesimo rispetto agli altri evangelisti: "Mentre Gesù, ricevuto anche lui il Battesimo, stava in preghiera, i cieli si aprirono e discese sopra di lui lo Spirito Santo". Il Gesù di Luca vive il battesimo come un vero e proprio momento di preghiera, come una Liturgia (oggi diremmo come un Sacramento), per sottolineare sin dall'inizio il profondo legame di intimità tra Gesù e il Padre di cui i suoi genitori, con un bel po' di angoscia, avevano avuto avvisaglie sin dalla sua adolescenza, quando lo ritrovarono dopo tre giorni di smarrimento nel tempio di Gerusalemme a occuparsi delle cose del Padre suo. A noi, ora, pare una cosa scontata il legame tra Gesù e Dio Padre: ma a quel tempo, lui vivente, non lo era. Il Messia, il Cristo, era considerato e atteso come capo e leader politico, dal forte carisma anche spirituale, ma pur sempre un capo politico. Il costante atteggiamento di preghiera di Gesù nel Vangelo di Luca ci porterà a comprendere di quale tipo di Regno egli sarà a capo: senza il suo profondo e costante legame con il Padre nella preghiera, ogni parola e ogni gesto, per quanto rivoluzionari o regali possano sembrare, non hanno storia. Erode, l'unico re citato da Luca nella vita pubblica di Gesù, insidierà più volte la vita di Giovanni Battista e di Gesù: con entrambi otterrà lo scopo di eliminarli fisicamente dal suo Regno, ma il Regno di Dio si manifesterà più forte di ogni regno terreno. E a farne le spese sarà un altro Erode, Erode Agrippa, nipote di questo Erode, che negli Atti degli Apostoli Luca presenterà come persecutore dei cristiani: farà uccidere l'apostolo Giacomo, ma terminerà miseramente roso dai vermi. Il tesoro vero non sta sulle teste coronate dei re, ma nel Regno dei Cieli, dove - sono sempre parole di Luca - grazie a una vita di elemosina e carità, il tesoro del nostro cuore è al sicuro dai tarli e dai vermi che lo corrodono. E per concludere, la terza caratteristica di questa narrazione, dove tutto, grazie al legame profondo tra Dio e l'uomo attraverso l'uomo Gesù, prende "forma corporea", addirittura lo Spirito Santo, che "come una colomba" discende su Gesù dopo il battesimo. Tutti gli evangelisti narrano dello Spirito che scende come una colomba su Gesù: ma Luca ci tiene a sottolineare la sua forma corporea, perché nemmeno lo Spirito (realtà insostanziale per eccellenza, nella concezione comune) è esente da un rapporto stretto con l'umanità, con la materia, con il corpo. C'è poco da fare: non ci si salva se non attraverso la realtà corporea, materiale, dell'umanità divina di Gesù, della sua divinità umana. Il divino e l'umano, nel mistero del Natale, si sono uniti in maniera mirabile e manifestati in modo ancora più mirabile. Non finisce qui: la vita pubblica e la missione di Gesù, il Figlio amato di Dio, sono appena iniziate. Un Dio con il quale stare in perenne atteggiamento di dialogo nella preghiera, ma che incontriamo solo in forma corporea e profondamente unito alla vita del popolo, è proprio ciò di cui l'umanità aveva bisogno. |