Omelia (16-11-2005)
Casa di Preghiera San Biagio FMA


Dalla Parola del

giorno

Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo

regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino

al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un'ambasceria a dire:

"Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi".




Come vivere questa Parola?
"Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi" –

ecco il dramma che Gesù ci lascia intravedere attraverso la parabola delle mine. Ed è il dramma

del rifiuto di Dio. Sembra, a prima acchito, che questa sia una nota secondaria rispetto

all'evolversi del racconto parabolico caratterizzato dalla necessità di impiegare bene le mine,

ossia i doni di Dio. Invece questa nota è il perno di tutto. Sì, perché impiegare bene le mine

significa accettare innanzi tutto di essere "servi". Ma per accettare di essere servi bisogna

maturare la consapevolezza del nostro dipendere da Dio, percependo di essere innestati in Lui

come il tralcio alla vite, dunque a Lui uniti e sottomessi, senza per questo sentirsi

dimezzati.
Ma concretamente come devo accogliere la signoria di Dio nella mia vita? Cosa devo

mettere in atto? Il testo dice che "i cittadini odiavano quest'uomo di nobile stirpe". Non

solo: si rifiutavano di contattarlo direttamente, gli mandavano un'ambasceria. Dunque, far

regnare Dio su di noi, significa amarlo e contattarlo. Amarlo con tutto il cuore, senza finzioni,

e contattarlo nella Sua Parola, fedelmente, ogni giorno, come faremo anche oggi, con gli occhi

puntati sulla splendida icona della lavanda dei piedi per contemplare la sua divina regalità

china sull'uomo, a servire, "fino alla fine".

Noi vogliamo, Signore, che Tu solo

regni su di noi! E come Te, vogliamo regnare nel servizio, chini sui nostri fratelli, nell'umile

gesto della lavanda dei piedi.


La voce di una mistica del XX secolo
Perché

Dio sia veramente il nostro re, eclissiamoci, dimentichiamoci, siamo soltanto la lode della sua

gloria.
Elisabetta della

Trinità