Omelia (27-02-2022) |
mons. Roberto Brunelli |
Attenti a quanto dal cuore sovrabbonda Il discorso di Gesù, cominciato col "Beati i poveri" che abbiamo ascoltato due domeniche fa e proseguito con l'"Amate i vostri nemici" di domenica scorsa, continua col vangelo odierno (Luca 6,39-45), imperniato su precetti relativi all'ipocrisia: "Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo?" Questa immagine paradossale ricorda una favola antica. Narra Esopo che ogni uomo, entrando nel mondo, si trova appese al collo due bisacce: davanti, quella piena dei vizi altrui; dietro, quella dei vizi propri; ovviamente vede e stigmatizza quelli degli altri, e non vede invece i propri. Il concetto è lo stesso, nel vangelo e nella saggezza degli antichi; differente è però il contesto in cui i due brevi racconti si collocano, e così diverso ne risulta l'insegnamento. Esopo si limita a costatare un dato della comune esperienza, che genera un certo pessimismo sulla natura umana e quindi sulla società. Il vangelo invece invita a guardare la pagliuzza altrui e la trave propria, con gli occhi con cui li guarda il Signore: con verità, ma senza condannare nessuno, perché nessuno di noi è immacolato, e senza disperare, perché Egli ci dona sempre la possibilità di ricuperare, di ravvederci, di ricominciare. Torna alla mente l'episodio evangelico dell'adultera, colta sul fatto e trascinata davanti a Gesù col proposito di lapidarla, e salvata da lui con la celebre frase: "Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra". Quanta maldicenza, quante calunnie, quante vendette verrebbero meno, se ci ricordessimo delle due bisacce, della pagliuzza e della trave, delle pietre che lanciamo! Quanto spesso siamo inclini a rilevare anche il più piccolo difetto altrui, senza riconoscere che noi non siamo migliori, anzi talora siamo ben peggiori. E quand'anche parliamo con retta intenzione, rilevando i difetti altrui al fine di correggerli, stiamo bene attenti: non pretendiamo di guidare gli altri, se non siamo sicuri di parlare non secondo le nostre opinioni ma in conformità con quanto insegna il Maestro; altrimenti, dice il brano odierno, saremmo come un cieco che guida un altro cieco, e tutti e due cadono nel fosso. Stiamo bene attenti, anche perché le nostre parole rivelano chi siamo: come non possono venire uva o fichi da un cespuglio spinoso, così non può venire il bene da chi non l'ha nel cuore: "l'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda". Buon cristiano è chi è sincero, nell'impegno incessante di far corrispondere i propri comportamenti e le proprie parole all'insegnamento del divino Maestro: senza la presunzione di avere in ciò raggiunto la perfezione, e anche per questo umile e comprensivo circa i difetti altrui, cercando di correggerli anzitutto con l'esempio, e se fosse necessario intervenire con un richiamo lo fa sempre col sorriso, senza ergersi a giudice o maestro. Per i cristiani il Maestro è solo uno! Noi siamo invitati a guardarci l'un l'altro con lo sguardo di amore misericordioso con cui Dio guarda anche il più incallito dei peccatori. L'esempio del cieco che guida un altro cieco e tutti e due cadono nel fosso è stato spesso interpretato anche come un richiamo a quanti, pur consapevoli dei propri limiti, pretendono spudoratamente di ergersi a guide altrui, in tutti i campi, dalla politica alla scuola, dalla stampa all'economia. Al tempo di Gesù erano ad esempio i farisei, i quali si vantavano di essere perfetti osservanti della Legge e criticavano senza appello chi non era come loro (ricordiamo la parabola del fariseo e del pubblicano che vanno entrambi a pregare). E dopo Gesù, ciechi sono quei cristiani sempre pronti a giudicare gli altri senza misericordia, dimentichi di quante volte anch'essi hanno potuto godere della misericordia di Dio. |