Omelia (13-03-2022)
diac. Vito Calella
In ascolto del Figlio, l'eletto, tra sonno e risveglio

Ogni seconda domenica di Quaresima siamo invitati a conservare nella mente e nel cuore il racconto della trasfigurazione di Gesù sul monte.
L'evento della trasfigurazione di Gesù ci spinge a rispondere a due domande.
La prima è questa: «Il mistero della morte e risurrezione di Gesù sta veramente orientando e trasformando la nostra vita?».
La trasfigurazione di Gesù sul monte ci rivela che l'evento finale di tutta la missione terrena del «Figlio, l'eletto del Padre» (Lc 9,35a) è la sua morte violenta, superata dalla gloria della risurrezione.
Tutto ciò che è stato rivelato nelle Sacre Scritture dell'Antico Testamento, nella Legge e nei Profeti, rappresentati da Mosè ed Elia, ha il suo punto di convergenza in questo evento di sangue: «Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,31).
Mentre Gesù parlava con Mosè ed Elia, il suo corpo non appariva marcato dai segni delle sue ferite e delle sofferenze della sua passione, ma dalla sua trasfigurazione, risplendente di luce: «Il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante» (Lc 9, 29 ter); Pietro, Giacomo e Giovanni «videro la gloria di Gesù e i due uomini che erano con lui» (Lc 9,32).
Gesù aveva già annunciato ai suoi discepoli che «il Figlio dell'uomo dovevasoffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dai dottori della legge, essere ucciso e il terzo giorno essere risuscitato» (Lc 9,22).
Non è un dato per scontato che possiamo pensare e agire centralizzando la nostra coscienza nell'evento della morte e risurrezione di Gesù.
Immedesimiamoci in Pietro, Giacomo e Giovanni, che ci rappresentano.
Mentre «Gesù pregava» e avveniva la trasfigurazione, con l'apparizione di Mosè ed Elia, «Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno» (Lc 9,32a).
Finalmente «si svegliarono e videro la gloria di Gesù e i due uomini che erano con lui» (Lc 9,32).
Come Pietro e compagni, anche noi oscilliamo continuamente tra "sonno" e "risveglio".
Il Padre unito al Figlio nello Spirito Santo agisce nella nostra vita, è il Signore della storia dell'umanità e di tutta l'opera della natura, ma noi facciamo fatica a vedere la sua azione provvidenziale e fedele, perché siamo «oppressi dal sonno».
È il sonno della fatica di essere vigili nella preghiera, è il sonno della nostra difficoltà a dedicare un tempo privilegiato della nostra vita quotidiana all'ascolto attento e orante della Parola di Dio.
È il sonno della nostra fatica a rispettare e riconoscere la presenza viva e vera di Gesù nell'Eucaristia e nella vita dei poveri e dei sofferenti.
È il sonno del nostro scoraggiamento, dell'omissione, per stare semplicemente ad assistere gli orrori della guerra e dell'ingiustizia, rimanendo con le braccia incrociate, pensando che i capi di stato, i ricchi e il denaro siano gli unici veri padroni della storia.
È il sonno di non essere ancora consapevoli che la morte di Gesù e la sua risurrezione sono già un evento di salvezza e di trasformazione della nostra vita, come ci ricorda l'apostolo Paolo.
Per il fatto che Gesù è morto ed è stato risuscitato dai morti: «noi siamo cittadini del cielo» (Fil 3,20a). Dovremmo vivere ad un livello di vita più qualitativo, avendo cura di promuovere relazioni umane guidate dallo Spirito Santo e non più secondo gli istinti egoistici della nostra natura umana.
Dovremmo «cercare le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra di Dio. [Dovremmo] pensare alle cose in cielo e non in terra, perché siamo morti e la nostra vita dovrebbe essere nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,1b-3). Tuttavia, «piangendo», come san Paolo, dobbiamo riconoscere che «molti di noi si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro Dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (Fil 3,18b-19).
Anche Abramo oscillava tra il "risveglio" di una fede sicura e salda in Dio e i suoi dubbi, accompagnati da «torpore profondo» e da «terrore e grande oscurità» (Gn 15,12b).
Da un lato, il testo biblico dice che «Abramo ebbe fede nel Signore» (Gn 6a), quando Dio gli confermò la promessa della terra e della discendenza. Quella fede divenne «un credito di giustizia», perché Abramo è ricordato come esempio di uomo sicuro della sua fede in Dio.
D'altra parte, Abramo dubitava, perché abbiamo sentito la domanda: «Signore Dio, come posso sapere che prenderò possesso di tutta questa terra?» (Gen 15,8). E Dio si manifestó e passó sopra il sangue degli animali, tagliati in due e usati per il rito dell'alleanza, mentre Abramo era assente a causa del «profondo torpore» e del «terrore grande oscurità» che lo colse.
La prima domanda era: «La morte e risurrezione di Gesù sta veramente orientando e trasformando la nostra vita?». La risposta è questa: fatichiamo a portere le nostre croci e a lasciiarci ispirare dalla speranza di una vita migliore, che ci viene grazie alla nostra fede nella risurrezione di Gesù.
La seconda domanda ci poniamo è la seguente: «Che cosa è essenziale perché la nostra vita diventi compartecipazione all'evento della morte e risurrezione di Gesù?».
Si tratta di comprendere e vivere il senso dell'invito della «voce che diceva, uscendo dalla nube "Questi è il mio Figlio, l'Eletto, ascoltatelo!"» (Lc 9,35).
«Ascoltare ció che ci dice il Figlio, l'Eletto» significa andare oltre la gioia di scegliere di perseverare nell'ascolto della Parola di Dio in atteggiamento orante.
Abbiamo sentito che «mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne: una per te, una per Mosè e una per Elia"» (Lc 9,33a).
«Volere fare una tenda per Gesù, una per Mosè ed una per Elia» può significare il scegliere di dedicare del tempo all'ascolto della Parola di Dio, provare il piacere di pregare e ascoltare Gesù che ci parla con sapienza e ci insegna con amore, aiutandoci a comprendere che egli è venuto a portarci la rivelazione definitiva del vero volto di Dio e del suo progetto di una nuova ed eterna alleanza. Questa è una buona intenzione, ma abbiamo già visto che è difficile realizzarla affidandosi solo alla nostra buona volontà.
Pietro, Giacomo e Giovanni persero l'occasione di ascoltare il discorrere di Gesù con Mosè ed Elia a causa del sonno e l'evangelista commenta: «Pietro non sapeva quello che diceva» (Lc 9,33b).
Il nostro pregare la Parola di Dio, nella lotta tra il sonno e la veglia, ci richiede di andare oltre questa nostra buona intenzione, spesso frustrata a causa delle nostre debolezze umane.
É sufficiente la nostra disponibilità ad ascoltare ciò che ci dice Gesù e accettare la nostra povertà.
Allora il Padre «si manifesta in una nube e ci adombra» (Lc 9,34).
La nube del giorno della trasfigurazione è la stessa «potenza dell'Altissimo che adombrava Maria», perché ella si fece attenta alle parole dell'angelo nel giorno dell'annuncio del suo concepimento verginale (Lc 1,35);
La «nube» rappresenta lo Spirito Santo all'opera, che viene in aiuto alle nostre debolezze, al nostro sonno, alle nostre paure, ai nostri dubbi, alle nostre omissioni e incoerenze.
L'essenziale è decidere di farci uditori delle parole di Gesù, sentendoci avvolti nella nube della gratuità dell'amore divino, senza temere il suo misterioso potere di trasformare la nostra povertà.
«Ascoltare ció che ci dice il Figlio, l'Eletto» significa credere che, come Gesù, anche noi siamo figli amati del Padre, inviati ad essere strumenti della realizzazione del suo regno di giustizia e di pace nel mondo, nonostante i nostri peccati e le nostre debolezze.
Il Cristo risorto «trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,21), grazie alla nube dello Spirito Santo che ci avvolge e trasfigura ogni nostra povertà in strumento di irradiazione della gratuità dell'amore divino.