Omelia (10-04-2022) |
don Mario Simula |
Un canto provvisorio Mentre Gesù attraversa le strade di Gerusalemme, la gente stende i suoi mantelli per terra. Tutta la folla dei discepoli è piena di gioia e loda, a gran voce, Dio per le meraviglie che ha compiuto in Gesù. Tutti cantano con entusiasmo e con foga. "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!". C'è il solito gruppo di avversari di Gesù che chiede di fare star zitta la gente. La risposta di Gesù è a metà strada tra la gioia e il dolore: "Se questi taceranno, grideranno le pietre". Tutto inizia con un canto di giubilo, con un'espressione di gratitudine, con una lode a Dio che ha fatto cose grandi. La gente batte le mani, grida, acclama. I bambini sono invasi dal clima di festa. Squillano le trombe. Vengono agitati rami di palma. Fanno festa i rami di ulivo. Mentre Gerusalemme è travolta dalla festa, il profeta piange nella visione: ricorda l'esperienza più triste del re messia. I flagellatori ne torturano il dorso riempiendolo di colpi e di sangue. La barba gli è strappata con violenza. Gli sputi e gli insulti vanno dritti addosso alla faccia del servo diventato verme. Dio è, tuttavia, presente e rende quel volto forte come pietra. Un volto che non patirà la confusione. Dio presente e assente, visibile e nascosto. Proprio come lo sperimentiamo noi in tanti momenti disperati della vita. Non a caso il salmo 21 mette sulle labbra del condannato le parole più tristi della storia: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". E fa seguire a questo ritornello di dolore tutte le violenze che patirà. Il mistero è Cristo Gesù, Dio, che occulta, ai nostri occhi, la sua divinità e assume la condizione di servo, umiliando se stesso fino alla scelta della croce. Il racconto della passione, come è riportato nel Vangelo di Luca, completa, in un unico quadro di insieme, tutti gli attimi di una dramma umano e soprattutto divino, del quale il nostro Maestro, l'Amato del nostro cuore è protagonista, vittima consapevole e docile. Il canto si trasforma in pianto. Quel canto di Gerusalemme era provvisorio. Legato ad un entusiasmo destinato al tramonto. Poi sarebbe stato un canto notturno, lugubre e triste. Un buio di sconfitta su tutta la terra. Ci salva sempre il cuore di Gesù. Stremato dalla fatica, rotto dalle umiliazioni, irriconoscibile nel Volto, rimane sempre se stesso nella tenerezza. Il canto riprende a volare sul monte dell'amore. E' fatto di melodie umane e divine. E' fatto di parole folgoranti. "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". "In verità io ti dico", dice al malfattore pentito e crocifisso accanto a lui: "Oggi con me sarai nel paradiso". Un canto forte come un grido si alza dalla croce, destinatario il Padre: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". E' il contrappunto primo di spirare. L'ultimo canto di lode scaturisce dal cuore del centurione: "Veramente quest'uomo era giusto". Il sottofondo di accompagnamento è della gente che, pensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Sentiamo il ritmo di dolore di un cuore che ha smarrito l'amore. Il ritmo del pentimento. Esiste, però, un canto fatto di gesti: appartiene alle corde interiori di Giuseppe di Arimatea. Chiede il corpo di Gesù a Pilato. Lo depone dalla croce. Lo avvolge con un lenzuolo. Lo mette in un sepolcro nuovo scavato nella roccia. Sembrano i gesti del Samaritano che va verso Gerico carico della distruzione di un uomo aggredito e solo. Quel canto composto con i gesti appartiene alle donne che preparano aromi e oli profumati: le donne sanno, nel loro istinto femminile, che occorre apparecchiare la mensa ricca di vivande squisite e di vino inebriante per la festa di nozze dello Sposo. Alla fine soltanto silenzio. Il canto del silenzio, il più sublime, il più misterioso, il più eloquente. Non il canto sul morto, ma al Sole che lentamente spunta all'alba del terzo giorno. |