Omelia (14-04-2022) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il Giovedi dell'amore Il Giovedi che noi definiamo dell'istituzione dell'Eucarestia è innanzitutto il giorno dell'amore. "Non c'è amore più grande che dare la vita per i propri amici"(Gv 15, 12) dirà Gesù in un secondo momento ai suoi discepoli, delineando che la confidenza che lui nutre nei loro riguardi è speculare dell'intimità che lui da sempre vive con il Padre. Che per loro (e per tutti) lui darà la vita lo vedremo al momento della cattura, del processo e della condanna a morte, ma adesso ne abbiamo un saggio ordinario in questo episodio della Cena nel quale si innesta la lavanda dei piedi. Cena e lavanda sono infatti elementi costitutivi dell'amore sincero, che è donazione incondizionata e sacrificata per l'altro, senza riserve e senza retoriche. Consumare un pasto insieme era per gli Ebrei un atto di reciproca accettazione e di accoglienza, una concretizzazione della comunione e della concordia, come del resto è evincibile nella disposizione della Cena commemorativa della Pasqua ebraica (I lettura) dove la famiglia era riunita attorno alla pietanza di un agnello e qualora essa fosse troppo piccola doveva associarsi a un altro nucleo familiare più vicino. Consumare l'agnello con i fianchi cinti, i calzari ai piedi e il bastone in mano era commemorativo della salvezza avvenuta per opera del Signore nel passaggio del Mar Rosso; per ciò stesso sottendeva all'unità e alla comunione di tutto il popolo, all'amicizia e alla condivisione. Con Gesù che raduna i suoi attorno alla tavola per una Cena, avviene che concordia, comunione, condivisione e sinergia siano un riflesso dell'amore fra il Padre e il Figlio. In altre parole, i discepoli vivono il vincolo di comunione per il semplice fatto che il Padre ama Gesù fin dall'inizio, Questi ama il Padre e di questo amore essi vengono resi partecipi. Gesù li ama "fino alla fine" e non li chiama più servi ma amici perché tutto quello che ha udito dal Padre lo ha fatto conoscere a loro (Gv 15, 15). Non solo accettazione e accoglienza, ma amore. Esso si attualizza nella condivisione del pasto, nello spezzare il pane che in ambito ebraico è segno eloquente dell'autoconsegna da parte del padre di famiglia, e soprattutto in questo gesto "anomalo" della lavanda dei piedi, che non ha bisogno di commenti. Lavare i piedi era proprio degli schiavi e degli inservienti e proprio come un servo, anzi come uno chiavo, Gesù si china a lavarli a ciascuno dei suoi discepoli, per esprimere concretamente la profondità dell'amore di autodonazione e di accoglienza. Un autore a me ignoto diceva che sotto la pianta dei piedi della gente vi è l'impronta della strada che hanno percorso; potremmo aggiungere che Gesù in questo lavacro accoglie quindi anche i percorsi della loro vita, la loro storia, la loro identità e la loro vicenda di appartenere a lui adesso come non mai. Nella lavanda purifica le devianze che questi percorsi di vita hanno subito, estingue la putredine dei luoghi inopportuni che hanno raggiunto, lava il sordido dei passi che hanno fatto per compiere azioni insane o atti inappropriati. Il pediluvio di Gesù abilita così gli apostoli a nuovi sentieri percorribili in forza del suo amore, aprendo in loro rinnovata speranza e motivando fiducia e carità. "Come ho fatto io, cosi fate anche voi." Nello stesso amore di cui siamo stati resi destinatari, occorre che perseveriamo perché non si banalizzi il dono che Dio in Gesù ci ha fatto di se stesso, perché non si estingua il rigore della carità che deve diventare il distintivo della nostra scelta cristiana. A tal proposito sorge spontanea una domanda: come mai, a differenza degli altri evangelisti, Giovanni tace sull'istituzione dell'Eucarestia, fermandosi alla sola Cena e alla lavanda dei piedi? Secondo alcuni esegeti ciò sarebbe dovuto al fatto che Giovanni redige il suo scritto in tempi molto posteriori, quando ormai nelle comunità "lo spezzare il pane" è diventato consuetudinario, forse distaccato dal suo senso reale originario. Non c'è più il fervore della comunione fra i credenti e se anche si è consapevoli dell'amore di cui si è parlato, non lo si vive più con la stessa intensità, mentre si consuma il pasto eucaristico. Ecco che allora Giovanni tende ad estrapolare il "nocciolo" della celebrazione eucaristica, ossia l'amore oltremisura di Gesù che si rende anche nostro cibo nelle famose parole "Questo è il mio Corpo", pronunciando le quali il pane non è più pane ma diventa in suo Corpo reale. Alle parole "Questo è il calice dell'alleanza" il vino non è più vino ma è lo stesso sangue che lui spargerà sulla croce. Credere nella presenza sostanziale di Gesù nelle specie eucaristiche non è sufficiente in effetti se si esclude che questo scaturisca dall'amore incondizionato di Gesù per noi, perché appunto lo stesso Corpo e Sangue del Signore sono prefigurazione della massima espressione dell'amore che è la croce. E neppure è conveniente cibarsi di codesto Sacramento qualora assumendolo si esclude la necessità di creare comunione fra di noi e con gli altri, diventando un riverbero dell'amore dello stesso Cristo. |