Omelia (24-03-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Luca 4,24-30 Gli abitanti di Nazaret vogliono un segno che dimostri che Gesù è veramente il Salvatore promesso; pretendono che Dio dimostri la missione del suo profeta in un modo che piaccia a loro: in altre parole, tentano Dio. Ma l'agire di Gesù non è influenzato da ciò che gli uomini pretendono: fa soltanto ciò che Dio vuole. Il profeta non agisce di sua iniziativa, ma è a disposizione solamente di Dio che l'ha mandato. Nell'Antico Testamento Dio ha disposto che Elia ed Eliseo non portassero il loro aiuto miracoloso ai loro connazionali, ma a dei pagani stranieri. A Gesù non è concesso di compiere miracoli nella sua città, ma a Cafarnao. Dio distribuisce la sua salvezza secondo la sua insindacabile volontà, perché la salvezza è grazia e non può essere pretesa per nessun motivo. Gesù non dà prova di sé con i miracoli; per questo gli abitanti di Nazaret si sentono in diritto, o addirittura obbligati, a condannarlo a morte come bestemmiatore. La punizione della bestemmia si iniziava spingendo all'indietro il colpevole, per mezzo dei primi testimoni, il fino a farlo cadere da un'altura. Tutta l'assemblea della sinagoga di Nazaret giudica Gesù, lo condanna e cerca di eseguire immediatamente la sentenza. Si preannuncia l'insuccesso di Gesù in mezzo al suo popolo. Egli verrà escluso dalla comunità del suo popolo, condannato come bestemmiatore e ucciso. Ma l'ora della sua morte non è ancora giunta. Della sua vita e della sua morte dispone Dio. Nazaret viene abbandonata per sempre. Gesù prende la strada verso altre terre. I testimoni delle sue grandi opere non saranno i suoi concittadini, ma gli estranei, i pagani. Dio può suscitare figli di Abramo dalle pietre del deserto. Il modo in cui Gesù ha scandalizzato i "suoi" di allora è identico a quello con cui scandalizza i "suoi" di oggi. La tentazione di addomesticare Cristo è di tutti e di sempre, ma Gesù non si lascia intrappolare: o lo si accoglie nel modo giusto o se ne va. |