Omelia (15-04-2022) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di don Eduard Patrascu Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io (1Tim 1,15) Stiamo celebrando quest'oggi la memoria della passione e morte di Gesù. A noi, uomini e donne del ventunesimo secolo, può capitare di vivere le cerimonie di questo giorno magari come solo un appuntamento di calendario, una tappa obbligata prima della festa della Pasqua. Quanti cristiani sono coscienti che ciò che noi normalmente chiamiamo, per la tradizione liturgica, "venerdì santo" in realtà è una concreta, anche se orrenda, vicenda della storia umana: questo venerdì, in cui è stato ucciso un innocente, riassume tutte le vite innocenti della storia umana. È il paradigma della notte della coscienza, della sofferenza gratuita, provocata dalla sete di potere e dall'invidia di coloro che, ad un certo punto della storia, si credono di essere come Dio. É il venerdì nero della storia umana di tutti i tempi. L'esperienza della vita ci mostra quanto siamo diversi di fronte alla sofferenza. Quando si tratta della nostra sofferenza o di quella di qualche persona a noi cara, tutto il mondo dovrebbe fermarsi e girare intorno a noi e al nostro dramma. Quando si tratta invece della sofferenza di qualcuno più distante di noi, quella sofferenza ci pesa un po' meno. Stiamo vivendo proprio questi giorni, purtroppo, l'esperienza della guerra in Ucraina. E tutta l'Europa, anzi tutto il mondo, si sta esprimendo, nella la stragrande maggioranza dei paesi, condannando questa guerra fratricida, e piangendo pubblicamente la sofferenza di tanti innocenti, soprattutto bambini, anziani, ammalati. Proprio questi giorni faranno sosta nella mia comunità un gruppo di profughi ucraini disabili con i loro accompagnatori. É straziante vederli fuggire dall'orrore della guerra, dalla grande sofferenza che essa provoca nelle file dei civili. Ma quanti invece rimangono là, sotto le macerie! Sì, piangiamo e condanniamo questa guerra. Forse tutta questa solidarietà è proprio perché questa guerra ci tocca molto più da vicino di altre, più di quanto ci hanno toccato le guerre di altre zone più lontane, come la lunghissima guerra in Afganistan, in Siria, in Myanmar, Libano, Congo, Venezuela, etc.. Certo, magari l'importanza di questa guerra è talmente grande che ci scuote profondamente, ma anche le altre guerre hanno provocato e stanno provocando atrocità inimmaginabili, proprio in questo periodo storico. E, lo ripeto, pare che il nostro atteggiamento è alquanto diverso, magari anche con cenni di esagerazione, solo purché questa guerra, almeno per noi europei, è più vicina delle altre. Questa riflessione può portarci a riflettere anche nei confronti della sofferenza di Gesù, che il Venerdì Santo ci invita a rivivere, può essere che ciò che ormai da duemila anni il cristianesimo celebra ogni anno nel Triduo Pasquale, diventi qualcosa di abituale e quasi scontato, ed anziché sperimentare profondamente i misteri celebrati, essi rischiano di diventare qualcosa di "normale", di scontato, senza che la sofferenza di Gesù Cristo tocchi veramente la nostra vita per redimerla, per farla risorgere dall'abitudine, senza che essa veramente tocchi la profondità del nostro spirito. Non è normale che la sofferenza diventi... una normalità. Non è normale che la sofferenza altrui diventi retorica impressionante, commuovente, ma pur sempre retorica. Tanto meno quella di Gesù, il redentore. Forse avvertendo questo pericolo, San Paolo dirà a Timoteo: "Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io" (1Tim 1,15). Cosa dobbiamo fare affinché la sofferenza di Gesù tocchi veramente il mio cuore, affinché non si fermi all'emozione? Fino a quando la passione e la morte di Gesù non mi sconvolgerà veramente, il venerdì prima di Pasqua rimarrà solo una tappa, ed il discorso sulla sofferenza degli altri, soprattutto quella del Redentore, una pietosa retorica. |