Omelia (15-04-2022)
don Alberto Brignoli
Perdonaci, Signore, anche se sappiamo quello che facciamo...

Ci auguriamo che presto possa scendere la notte su questa già di per sé oscura giornata del Golgota. E che la notte avvolga nel silenzio il mistero della Croce e di Colui che vi è appeso.
Vederlo lì a soffrire ingiustamente per causa nostra non ci fa affatto piacere. "Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere", si profetizzava di lui già al tempo di Isaia. Per cui, se la notte arriva presto a dire una parola definitiva e a chiudere questa partita che nessuno mai avrebbe voluto giocare, tanto riguadagnato.
E terminando, la commemorazione annuale della Passione e Morte di Cristo ci affiderà al grande silenzio del Sabato Santo, ma ci lascerà in eredità le migliaia, i milioni di crocifissi che neppure questa notte verranno tolti dalla Croce; crocifissi perenni, in attesa, se non proprio di un Giuseppe d'Arimatea che ne chieda il corpo per la sepoltura, quanto meno dell'oblio che cancelli dalla faccia della terra il loro ricordo.
Ma noi, no; noi non possiamo affatto permetterci di dimenticarli, di chiudere in un cassetto le loro storie, e nemmeno ritenere di sentirci a posto con la coscienza solo perché, come la nostra tradizione cristiana ci insegna, li appendiamo alle pareti delle nostre case e - fin quando ancora ci verrà permesso - delle nostre aule, delle nostre cliniche, dei nostri edifici pubblici. Appesi o meno davanti ai nostri occhi, essi sono lì, crocifissi perenni, a ricordarci che la loro croce è anche la nostra croce, perché come la loro storia è anche la nostra storia, così la loro sofferenza è anche la nostra sofferenza, e la loro morte sarà anche la nostra morte. Allora, come ci invita a fare Giovanni nel suo racconto di Passione, volgiamo lo sguardo a coloro che sono stati trafitti e continuano a rimanere appesi alla croce.
Volgiamo lo sguardo a Mariupol, Odessa, Bucha, Kharkiv e a tutte quelle città ucraine che fino a qualche settimana fa nemmeno sapevamo esistessero, e che forse - se non fosse per i cartelli ai distributori di carburante - un giorno ci dimenticheremo di aver conosciuto, come abbiamo fatto con gli oltre 50 conflitti ancora presenti nel mondo; volgiamo lo sguardo anche a Mosca, San Pietroburgo e a qualsiasi altra città della Russia, che non hanno case dalle mura distrutte, ma fra quelle mura intatte vivono madri distrutte per un figlio morto a causa di una guerra che nessuno ha voluto e che tutti combattono. Volgiamo lo sguardo al Canale di Sicilia, e a tutto il Mediterraneo, che non ha smesso, per via della guerra nell'Est europeo, di inghiottire gommoni di esuli, zattere di disperati, interi barconi di crocifissi.
Volgiamo lo sguardo alla terra di Gesù, dove fare attentati sembra, per qualcuno, l'unica via per ottenere pace e giustizia.
Volgiamo lo sguardo al cielo, dal quale invochiamo la pioggia e la pretendiamo con rabbia, dimenticandoci che forse, se non piove in maniera seria da mesi, qualche colpa l'abbiamo pure noi...
Volgiamo lo sguardo alle stanze degli ospedali, a quei malati in attesa da due anni di poter essere curati, lasciati da parte a causa di una pandemia che non se ne vuole andare, e che tutto sommato si trova bene e ci sguazza, in mezzo all'ignoranza di tanti discorsi pronunciati da bocche più o meno esperte, che parlano da palcoscenici più o meno veri e sputano sentenze più o meno credibili... e intanto, si continua a morire, di qualsiasi cosa.
Volgiamo lo sguardo alle fabbriche piene di macchinari e vuote di personale, alle aule dei tribunali piene di carrelli con carte e faldoni ma soprattutto riempite di ingiustizia, alle carceri che scoppiano perché sovraffollate (tant'è, "che ce ne importa, ci sono voluti entrare loro!"); alle strade delle nostre città che odiano le restrizioni perché manca lo sballo, la "movida", le notti in bianco...lo stesso bianco dei lenzuoli che impietosamente ricoprono corpi riversi sull'asfalto al termine di quelle notti...
Sì, perché poi noi su tutte queste croci siamo bravissimi a stendere in fretta un lenzuolo, un pietoso velo, per dimenticarci di queste croci, per rimuoverle dalla nostra vista, come se ciò bastasse a eliminarle dalla nostra vita.
Ma Dio non può far silenzio. Dio deve parlare, Dio deve dire qualcosa di fronte ad ogni uomo ucciso, Dio non può non udire l'urlo e il pianto di madri disperate! Ci sarà pure qualcuno che dovrà pagare per queste croci, qualcuno che le pianta e che vi appende gli innocenti!
Dio deve parlare alle migliaia di crocifissori, e deve pure andare a scovarli dai loro nascondigli: dalle sale dei bottoni e dalle poltrone dei governi di ogni continente, dalle aule di giustizia, dalle Piazze Affari dei capitalisti di turno, dai palazzi quadrati, ovali, rotondi o pentagonali che essi siano e che decretano a tavolino guerre tra i poveri, dalle frontiere chiuse per far dispetto a chi invece le apre, dalle auto blu finemente nascoste da vetri oscurati, dai pulpiti di predicatori che sputano sentenze sul mondo senza guardare a se stessi! Dio deve scovare questi carnefici, e dire loro una parola chiara, di giudizio e di condanna!
E Dio lo fa. Li va a scovare e parla loro. Non ha bisogno di faticare molto, solo deve abbassare lo sguardo, e li troverà mentre passano sotto la sua croce, insultandolo.
E da lì, da quel suo pulpito fatto di due assi incrociati, pronuncia contro di loro la sua irrevocabile sentenza: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno". Perché il perdono ricevuto, soprattutto se immeritato, al carnefice e al violento fa più male di qualsiasi arma da fuoco.
Hai perdonato i tuoi carnefici ignoranti, Dio del Golgota: perdona anche noi, che oggi continuiamo, come allora, a metterti in croce. Con l'aggravante, purtroppo, che noi, oggi, sappiamo quello che stiamo facendo.