Omelia (01-05-2022)
padre Antonio Rungi
Una pesca non solo miracolosa, ma aperta al futuro

Il Vangelo della terza domenica di Pasqua ci offre un testo di Giovanni, il cosiddetto vangelo teologico, incentrato sul mistero della morte e risurrezione del Signore e come tale ritenuto il testo più rispondente alla verità, essendo stato scritto dal discepoli prediletto del Signore.

Nel brano del vangelo odierno si racconta di una nuova apparizione, qui detta manifestazione, del Risorto sul mare di Tiberiade per mangiare insieme ai suoi discepoli pescatori.

Questa da Giovanni viene classificata come la terza manifestazione di Gesù dopo la sua risurrezione. Si tratta di una nuova teofania del Cristo risuscitato, ma non ancora identificato dal gruppo, non riconosciuto immediatamente.

Tuttavia, dal momento che i sei discepoli pescatori (Pietro, Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo, e altri due) non hanno niente da mangiare e per di più avevano provato a pescare qualcosa durante la notte, ma non avevano preso nulla, Gesù rischia di restare, così a digiuno. E allora cosa si fa di fronte alla mancanza del cibo che pure è indispensabile per la sopravvivenza? Su provvede in qualche mondo. Gesù si rivolge ai discepoli e dice di buttare nuovamente la rete nel lago di Tiberiade, ma dalla parte destra, per pescare quel alimento tipico del luogo, utile per alimentare se stessi e le loro famiglie o quanti ne venivano in possesso.

L'evangelista fa osservare che era l'alba e chiaramente c'erano poche possibilità di pescare qualcosa. Gli apostoli non discutono più di tanto sull'ordine dato da Gesù e quindi sulla parola del Signore Risorto gli apostoli gettano in mare la rete dei pescatori in attesa di tirarla su.

Non dovettero aspettare molto per tirarla in barca e constatare che era strapiena e colma al punto tale che ci dice l'apostolo ed evangelista Giovanni che aveva preso 153 grossi pesci. A questo punto il cibo c'è e quindi si mangia. Gesù si trova intorno ad un fuocherello acceso sulla spiaggia e condivide l'agape fraterna, richiamando evidente dell'ultima cena: pane e pesce che già stava cuocendo, utilizzando il pesce fresco, appena pescato. Uno potrebbe pensare che Gesù era esigente e voleva il meglio di quello che era stato pescato, non è così. Tutto il testo del vangelo è chiaramente espressivo di una realtà spirituale più profonda e mira ad indirizzare chi si accosta al testo giovanneo, a suscitare la fede. D'altra parte il pesce pescato non era merito degli apostolo bensì una grazia, o meglio un miracolo, che Gesù aveva operato a favore degli apostoli per colorare ed improntare di speranza la giornata appena iniziata. Un nuovo giorno del Cristo Risorto che appare agli apostoli con una nuova manifestazione, mentre nel loro cuore cerano ancora dubbi ed incertezze. Eppure nonostante tutto rimanevano, gli undici e i nuovi discepoli che entravano a far parte del gruppo, rimaneva i più stretti collaboratori del Signore

Cosa voglia significare tutto questo, Giovanni lo esplicita nei versetti successivi del brano del Vangelo di oggi. Dopo, infatti, che Gesù aveva mangiato con i discepoli, si rivolse direttamente a Pietro per chiedergli per tre volte se lo amasse o meno. E per tre volte Pietro risponde a Gesù che gli vuole bene. Assodato il sentimento e la fedeltà a questo amore infinito di Dio, rivelato in Gesù Cristo, il Risorto affida a Pietro la custodia del suo gregge che come ben sappiamo è la Chiesa, nata dal costato di Cristo e che necessita di una guida. Pascere le pecore è quindi il compito primario che Gesù affida al suo apostolo, capo del collegio, anticipandogli la sua sorte finale, quella del martirio.

Per essere in grado di pascere e di morire per il gregge di Cristo è necessario una sequela incondizionata e Pietro si pone alla sequela del Signore come da Lui richiesto.

In questa terza manifestazione di Gesù e con l'assegnazione di compiti e mansioni soprattutto a Pietro, cogliamo un chiaro invito per noi cristiani di metterci alla sequela di Cristo, prestando generosamente il nostro servizio alla comunità e di quanti riconoscono il Cristo come unico salvatore e redentore del mondo. Ed oggi, mentre nel mondo non ancora tacciono le armi di tante guerre conosciute o dimenticate ci rivolgiamo al Signore con la stessa manifestazione di affetto e di fede che espresse San Pietro davanti alla Richiesta del Maestro: Pietro mi vuoi bene?». E lui con semplicità, sincerità e fortemente convinto di quello che diceva, al momento della passione, risposte a Gesù in questo mondo «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Il Signore ci conosce ed ognuno di noi sa fino a che punto vuole bene al Signore e non solo a se stesso o al massimo ai propri cari, quando non ci sono di ostacolo o chi mettono bastoni tra le gambe, per farci cadere negli errori o nei baratri. Pietro che aveva sperimentato la parola data, ma non mantenuta. Ora è in grado di confermare la sua parola data al Signore, ormai risorto, per tutta la vita fino al martirio come di fatto succederà a tutti gli apostoli di Gesù a partire dal capo di essi, quel Pietro che lo aveva rinnegato per tre volte e al quale Gesù per tre volte gli chiede se gli vuole bene davvero.

Fa tenerezza il Figlio di Dio chiede a Pietro e in lui a ciascuno di noi, se gli vogliamo bene, ovvero se Dio è davvero l'unico e sommo bene della nostra vita. Quella triplice domanda mi vuoi bene, vuole significare esattamente tutto questo.