Omelia (25-12-2005)
Agenzia SIR
Commento Luca 2,1-14

Natale è indubbiamente la festa più celebrata in tutto il mondo, persino dai pagani. Lo scotto pagato è stato quello di oscurare il vero senso cristiano della solennità, oggi avvertito da pochi. Il giorno della venuta del figlio di Dio tra noi, rischia di perdere il suo vero significato, che noi credenti siamo oggi chiamati a ripristinare.

NON C'ERA POSTO. Apparentemente è stato un ordine di Cesare Augusto a decidere dove e quando doveva nascere il Messia. In realtà anche Cesare era nelle mani di Dio, dentro il progetto di quella nascita che doveva compiersi nella città di Davide. "Maria era incinta. Ora mentre si trovavano in quel luogo, si compirono i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo". Un episodio narrato da Luca con tutta semplicità. Eppure si compiva il fatto più grande della storia umana. "O ammirabile scambio – scrive San Leone Magno – il Creatore ha preso un'anima e un corpo, è nato da una Vergine, fatto uomo senza opera d'uomo, ci dona la sua divinità". In tutto questo, però, la bontà e la grandezza è tutta da parte di Dio, poiché a suo Figlio, gli uomini non preparano proprio nessuna accoglienza. Anzi, Maria depose il figlio in una mangiatoia, poiché "non c'era posto per loro nell'albergo". "Venne tra i suoi – scrive Giovanni – e i suoi non l'hanno accolto". Comincia così la serie dei rifiuti, che non si esaurirà nella storia, neppure con la condanna in croce.

UNA GRANDE GIOIA. C'erano dei pastori a vegliare i loro greggi. Un Angelo del Signore si presentò davanti a loro a dare la bella notizia: "Vi annuncio una grande gioia, oggi è nato un Salvatore, che è Cristo Signore". Un annuncio di gioia, poiché la salvezza è giunta nel mondo. "Il nostro Salvatore oggi è nato – commenta ancora San Leone Magno – rallegriamoci. Non c'è spazio per la tristezza, nel giorno in cui è nata la vita. Esulti il santo perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita". Gioia grande per tutti, ma una felicità tutta interiore e spirituale, della quale è una brutta copia lo scintillio puramente esteriore di tante vetrine e luminarie, di tanti costosi regali. Ridare senso al Natale, da parte di noi credenti, significa appunto gustare per noi questa gioia interiore, da comunicare agli altri: essere diventati per sempre figli di Dio, sapere con certezza di essere "amati da Lui".

GLORIA E PACE. Due cose, principalmente, sono contenute nel messaggio degli angeli: Gloria a Dio e pace in terra agli uomini che egli ama. Gloria che spetta a Dio, pace come perenne anelito dell'uomo. Le due realtà non sono, però, scollegate. Senza il riconoscimento di Dio, e della sua presenza nella storia, ha ribadito ancora Papa Benedetto XVI, non vi può essere vera pace e la stessa democrazia è ridotta ad ipocrisia. Quindi, la pace che noi desideriamo, è sempre un dono di Dio che dobbiamo meritare. Non c'è pace, infatti, senza la giustizia. Proprio perché Natale, pensiamo ai milioni di poveri di questo mondo, a quelli che muoiono ogni giorno di fame, anche per colpa nostra che siamo nell'abbondanza. Gesù stesso ha scelto di nascere povero ed ha privilegiato i poveri che ha detto "beati". Non possiamo dimenticare questa lezione di vita, e non solo a Natale.

Commento a cura di don Carlo Caviglione