Omelia (01-12-2005)
Monaci Benedettini Silvestrini
Non solo a parole, ma con i fatti

Il tema di ieri era centrato sulla prontezza dei discepoli come risposta all'invito di Gesù. Oggi l'evangelista Matteo mette accento sul credere, su chi fa la professione di fede ed è fiducioso di fare la volontà di Dio. L'essere discepolo di Cristo non si attua solo nel professare il suo nome, ma nel fare la volontà del Padre. Il formalismo non aiuta nel cammino, ci vuole la concretezza nella vita, il mettere in pratica ciò che ci chiede. La fede è anzitutto una questione del cuore e non delle labbra, non è il problema della mente, ma dell'intimità dell'anima. È facile cadere in un formalismo, di dirsi cioè discepolo di Cristo senza esserlo con la propria vita, una dissociazione tra parole e vita, tra bocca e cuore. A parole è facile essere discepoli del Signore, ma con il cuore quello che le labbra dicono viene smentito, bastano alcune situazioni difficili e si dimentica di essere ancora discepoli. Ma un discepolo è chiamato a fondare saldamente la sua casa, il suo cuore su Cristo, affidarsi a lui e mettere in pratica le sue parole perché è facendo così che si entra nel regno dei cieli, si compie la volontà del Padre. Per costruire la propria casa sulla roccia, l'ideale sarebbe quello di confidare in Dio evitando la superbia perché discepolo non è colui che è superbo, che sa che tutto, ma colui che a Dio si affida e in Lui confida. Chi non si affida costruisce la sua casa sulla sabbia, che non può resistere alle tentazioni e alle prove, crolla rovinosamente. Egli, il Signore si lascia trovare, ma va anche invocato nel momento in cui è vicino, mentre lo attendiamo.